p. Alberto MAGGI OSM”LO RICONOBBERO NELLO SPEZZARE IL PANE”

CENTRO STUDI BIBLICI “G. VANNUCCI”

III DOMENICA DI PASQUA – 26 APRILE 2020
LO RICONOBBERO NELLO SPEZZARE IL PANE
Commento al vangelo di p. Alberto Maggi OSM
Lc 24,13-35


Ed ecco, in quello stesso giorno [il primo della settimana] due dei [discepoli] erano in
cammino per un villaggio di nome Èmmaus, distante circa undici chilometri da
Gerusalemme, e conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto. Mentre
conversavano e discutevano insieme, Gesù in persona si avvicinò e camminava con loro.
Ma i loro occhi erano impediti a riconoscerlo.
Ed egli disse loro: «Che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il
cammino?». Si fermarono, col volto triste; uno di loro, di nome Clèopa, gli rispose: «Solo
tu sei forestiero a Gerusalemme! Non sai ciò che vi è accaduto in questi giorni?».
Domandò loro: «Che cosa?». Gli risposero: «Ciò che riguarda Gesù, il Nazareno, che fu
profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; come i capi dei
sacerdoti e le nostre autorità lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e lo
hanno crocifisso. Noi speravamo che egli fosse colui che avrebbe liberato Israele; con
tutto ciò, sono passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. Ma alcune
donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; si sono recate al mattino alla tomba e, non
avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di
angeli, i quali affermano che egli è vivo. Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno
trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».
Disse loro: «Stolti e lenti di cuore a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non
bisognava che il Cristo patisse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?». E,
cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si
riferiva a lui.
Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più
lontano. Ma essi insistettero: «Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al
tramonto». Egli entrò per rimanere con loro.
Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede
loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma egli sparì dalla loro vista. Ed
essi dissero l’un l’altro: «Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava
con noi lungo la via, quando ci spiegava le Scritture?».
Partirono senza indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici
e gli altri che erano con loro, i quali dicevano: «Davvero il Signore è risorto ed è apparso
a Simone!». Ed essi narravano ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano
riconosciuto nello spezzare il pane.
La morte di Gesù ha causato la dispersione, la confusione nel gruppo dei discepoli. Le donne
lo vanno in cerca dove lui non sta, il Signore, nel sepolcro, e trovano due uomini che dicono alle
donne: “Perché cercate tra i morti colui che è vivo?”. Gli uomini invece, i discepoli, vanno verso la
storia, verso il passato, in un luogo glorioso di Israele, che faccia ricordare loro la grande vittoria di
Israele sui popoli pagani. Vediamo cosa ci scrive l’evangelista Luca al capitolo 24, dal versetto 13.
“Ed ecco in quello stesso giorno” – il giorno della risurrezione – “due di loro” – questi “loro”
sono gli apostoli, l’ultimo riferimento era agli apostoli – “erano in cammino verso un villaggio di nome
Èmmaus”. Perché vanno a Èmmaus? Èmmaus è famoso nella storia di Israele, lo (ne) troviamo le
indicazioni nel primo libro dei Maccabei, al capitolo quarto, per una battaglia che Giuda il Maccabeo
condusse contro i pagani, sconfiggendoli; fu una grande vittoria e, come c’è scritto in questo primo
libro dei Maccabei, “e allora tutte le nazioni sapranno che c’è chi riscatta e salva Israele”. Il messia,
che era stato atteso, era colui che avrebbe dovuto riscattare e salvare Israele e invece Gesù è
rimasto sconfitto, lui è stata una grande delusione. Dai vangeli sembra emergere che i discepoli sono
più delusi della risurrezione di Gesù che della sua morte, perché, se Gesù era semplicemente morto,
voleva dire che si erano sbagliati. Sorgevano a quel tempo tanti pseudomessia, basti pensare (a)
Giuda il Galileo, Teuda, che creavano una massa, che si rivoltava contro i Romani, e finiva sempre in
una strage. Ebbene, morto un messia, se ne aspettava un altro. Ma, se Gesù è risuscitato, significa
che tutti i loro sogni di gloria, appunto di restaurazione, di liberazione di Israele, di predominio sui
Romani, (tutto) questo va a finire.
Ma vediamo il testo. Quindi “vanno verso Èmmaus, e mentre conversano e discutono insieme,
Gesù si avvicina e cammina con loro”, Gesù è il pastore che non abbandona i suoi discepoli. Ma,
scrive l’evangelista, “i loro occhi erano impediti a riconoscerlo”. Come mai gli occhi di questi discepoli
sono impediti a riconoscerlo? È chiaro, loro guardano verso il passato e non possono vedere il
presente e il futuro, dove Gesù li conduce. E “gli disse Gesù”, disse, “che cosa sono questi discorsi
che state facendo tra voi lungo il cammino? Si fermarono col volto triste e uno di loro di nome
Clèopa”, Clèopa è l’abbreviazione di Cleópatros, che significa “del padre glorioso, del padre illustre”,
che fa comprendere l’atteggiamento, il sentimento di questi discepoli, loro ricercano la gloria del
loro popolo. E questo Clèopa si meraviglia e dice: “ma sei solo tu? forestiero a Gerusalemme?”, e gli
racconta di quello che riguarda Gesù il Nazzareno. Ecco, per loro Gesù era il Nazzareno; Nazzareno
significava “il rivoltoso, il rivoluzionario”. È questo che loro avevamo creduto di seguire: un messia
che avrebbe sconfitto i Romani. Ed ecco la delusione, “con i capi sacerdoti e le nostre autorità”; è
grave che questi discepoli, questi apostoli, definiscono nostre autorità quelli che hanno assassinato
il loro maestro. Ed ecco la delusione di cui accennavamo prima: “noi speravamo che egli fosse colui
che avrebbe liberato Israele”. Ecco la grande delusione: speravano nel messia, invece è morto, e la
prova che Gesù non era il messia è che è morto, perché il messia non sarebbe potuto morire, e
quindi la delusione della comunità che aveva riposto tutte le sue speranze in Gesù.
Dice: è vero che alcune donne sono andate al sepolcro, “sono venute a dirci di aver avuto
anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo”, ma, con reticenza, non affermano che
loro non hanno creduto alle donne, perché le donne non sono testimoni credibili. Scrive l’evangelista
“quelle parole parvero loro come un vaneggiamento”. Ed ecco la risposta di Gesù di fronte a questa
incredulità; è una risposta che si traduce in un rimprovero, “«Stolti e lenti di cuore” – cioè testardi –
“a credere in tutto ciò che hanno detto i profeti! Non bisognava” – il verbo bisognava, letteralmente
doveva, indica la volontà di Dio che il Cristo patisse queste sofferenze – “e cominciando da Mosè fino
a tutti i profeti spiegò” – o meglio interpretò – “loro in tutte le scritture ciò che si riferiva a lui”. È
importante questo verbo “spiegare, interpretare”: è il verbo da cui viene il termine tecnico
ermeneutica. Che cos’è l’ermeneutica? È l’arte o la tecnica di interpretare i testi. Gesù non si limita
a leggere i testi di Mosè o dei profeti o a raccontarli, ma lui li interpreta. Cosa significa questo?
Questo è un criterio valido per tutti noi oggi, (significa) che, per leggere la Scrittura, bisogna
interpretarla, come? Con lo stesso spirito che l’ha ispirata. E qual è questo spirito che ha ispirato la
Scrittura? L’amore del creatore per tutte le sue creature: è questo l’unico criterio che consente di
comprendere la Scrittura.
“Quando furono vicini al villaggio” – il villaggio è sempre luogo della tradizione, del passato,
quindi loro ancora non comprendono, vogliono andare verso il passato- Gesù mostra di andare più
lontano. Loro vanno verso il vecchio e Gesù invece verso il nuovo. I discepoli insistono con Gesù
“resta con noi perché si fa sera e il giorno ormai al tramonto”, e Gesù, il pastore che non perde le
sue pecore, rimane con loro.
“Quando fu a tavola con loro prese il pane”, e qui l’evangelista ci propone la scena dell’ultima
cena, con gli stessi gesti e le stesse azioni, “recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro”.
Ricordiamo, per comprendere questo brano, che Luca è l’unico evangelista che, nel momento della
cena, Gesù pronuncia le parole “fate questo in memoria di me”. Quindi Gesù ripete la sua presenza,
la sua memoria.
“Ed ecco che allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero”, ecco nel momento che Gesù
si manifesta come colui che spezza il pane, la propria vita per i suoi discepoli, loro, i discepoli, lo
riconoscono. “Ma egli sparì”, qui veramente il verbo non è sparire, sparire significa scomparire; no,
l’evangelista scrive “si rese invisibile”, è qualcosa di diverso. Sparire significa che non c’è più,
invisibile significa che c’è, ma non si vede. Perché Gesù si rende invisibile? Ce lo dice l’evangelista,
alla conclusione di questo brano, “essi narravano” – poi ritornano a Gerusalemme – “ciò che era
accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane”. Questo è il messaggio
che Luca, l’evangelista, lascia per le comunità e per i credenti di tutti i tempi: Gesù è invisibile, perché
si rende visibile ogni volta che la comunità spezza il pane.

Fonte:https://www.studibiblici.it/


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