Padre Paolo Berti “Siamo servi inutili.”

XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno C)  (02/10/2022)

Vangelo: Lc 17,5-10

Il profeta Abacuc ha pregato, prega, pregherà, ma non riesce a capire niente. L’esercito di Nabucodonosor ha già travolto popoli e popoli, ha conquistato terre su terre, e Gerusalemme non può ritenersi fuori dai suoi obiettivi. Intanto nella città continuano violenze, liti e rapine. Il profeta si sente lacerato dal pensiero che Dio resti muto spettatore, senza più volontà di salvezza per il popolo. Il profeta lotta contro questo pensiero che lo sommerge. Dio gli dice però che ha un disegno, che la situazione non gli sta sfuggendo di mano. La catastrofe, che sta per giungere, è in realtà salvezza, poiché è rivolta a purificare Israele. Il profeta deve perciò avere fiducia in lui; non rimanere sgomento. Perirà, cioè sarà travolto dall’odio, solo “chi non ha l’animo retto”, cioè non ha fede in Dio. Il giusto infatti “vivrà per la sua fede”. La sua fede; cioè una fede che è diventata struttura di vita; non presunzione di piacere a Dio senza obbedienza a lui, ai suoi comandamenti. “Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore?“, è il gemito di Abacuc, che possiamo così parafrasare: “Perché mi fai restare in mezzo a situazioni di sopruso impedendomi di rifugiarmi lontano dalla vista delle violenze, e poi non fai nulla di fronte alla mia preghiera?”. Geremia, contemporaneo di Abacuc, esprimeva pure lui la sua angoscia di fronte all’avanzata dell’esercito di Nabucodonosor e all’assedio di Gerusalemme: “Aspettavamo la pace, ma non c’è alcun bene, il tempo della guarigione, ed ecco il terrore” (8,15). La risposta che Dio dà è che il turbine non si arresterà fin quando non avrà compiuto la sua opera. La preghiera di Abacuc è ascoltata, ma l’iniquità nella città, nel paese, ha un peso tale che il castigo – sempre correttivo anche nella catastrofe – si impone drammatico e non dilazionabile. “E’ una visione che attesta un termine“; e il termine è la fine della potenza babilonese.
Le parole del profeta ci toccano da vicino; proprio oggi che apprendiamo, da varie parti del mondo, notizie di orrore e non sappiamo fino a quando tutto ciò durerà.
Ma, certo, sappiamo che Dio è fedele. Nel Vecchio Testamento, l’uomo nell’afflizione delle calamità (Ger 14,21; Dn 3,34) temeva che Dio stesse per rompere la sua alleanza, ma noi non possiamo pensare minimamente questo: Cristo è la nostra alleanza, la nuova ed eterna alleanza!
Così, sappiamo che Dio non lascerà mai sola la Chiesa. La Chiesa, che è il Corpo di lui. La Chiesa, di cui egli è il Capo. La fede in Cristo ci fa vincenti: “Se aveste fede quanto un granello di senape, potreste dire a questo gelso: Sradicati e vai a piantarti nel mare, ed esso vi obbedirebbe“. Basterebbe poca fede! Certo analizzando, da un punto di vista dogmatico, quanto dice Gesù dobbiamo dire che tale fede è un carisma straordinario dello Spirito Santo (1Cor 12,9; 13,2) dato a qualcuno per particolari imprese (Cf. 1Mac 2,27), e che va distinta dalla fede teologale; tuttavia, tale fede carismatica  poggia sulla fede teologale, unitamente alla speranza e alla carità. Se però consideriamo che Gesù presenta un’immagine solo per spiegare quanto intende dire, e che sia così lo dice l’immagine stessa usata: è un miracolo del tutto inutile trapiantare un gelso nel mare. L’immagine è quindi rivolta a sollecitare la fede di tutti. Il gelso trapiantato nel mare vuol dire come la fede possa cambiare le situazioni più staticamente fissate. Il mare si sostituisce alla solidità della terra, e un gelso si stabilisce dove solo un’alga può prosperare. Così, negli eventi della storia: situazioni che sembrano inamovibili possono essere cambiate.
Basterebbe avere fede quanto un granellino di senape; ma, attenzione, l’immagine ha in sé una luce molto profonda. L’esempio del granellino di senape non è rivolto solo a dare un’immagine di quantità, ma anche di qualità: il granellino di senape è sinonimo di potenza (Cf. Mt 13,31).
Non dunque una fede gelida frutto di mille ragionamenti, che appare “dotta” agli occhi degli uomini, ma che in realtà è vuota di potenza. La vera fede è quella degli umili, dei piccoli. Umili e piccoli e per questo grandi. Non c’è dottore della Chiesa che non sia stato piccolo e umile. La vera fede è senza le gonfiature dei dottori della legge, che abbondavano al tempo di Gesù, ma che anche ora sono presenti. E’ la fede ricca di carità, di fiducia, di umiltà. E’ la fede che non rifiuta quanto può dare la ragione. Fede che non concede nulla né al fideismo, che frustra la ragione, né al razionalismo, che frustra la fede. E’ la fede di coloro che sanno dire al termine del loro servizio: “Siamo servi inutili“. Al termine del loro servizio, perché sono operai che hanno lavorato sodo, consapevoli di essere guidati e sostenuti dal padrone. Servi inutili proprio perché hanno avuto bisogno di essere seguiti, aiutati, condotti. L’immagine è chiara; pensiamo ad una domestica alla quale si debba insegnare a cucinare, e la si debba guidare nelle pulizie, e le si debba dire cosa fare perché altrimenti non vi riesce da sola. Noi ci troviamo nella stessa situazione nel servizio al disegno di Dio, abbiamo bisogno di essere sostenuti, guidati, illuminati. Chi si dice, al termine di un duro lavoro, “Sono un servo inutile”, rintuzza lo spuntare del gonfiore dell’amor proprio con una paziente violenza. Egli non cerca di occupare il posto del regista. Quel posto è di Cristo; lui è il regista che possiede il disegno e lo comunica, senza mai dirlo tutto; non per avarizia, ma perché noi non possiamo, come dice il Qoelèt (3,11) conoscere l’opera di Dio dal principio alla fine. Il razionalista pretende di fare questo, e allora nulla comprende. La sua fede non è un potentissimo “granello“, corroborato dai sette doni dello Spirito Santo.
Il cristiano è vivo per la sua fede. E’ un grande, e non un gonfio pagliaio dove non c’è un chicco di grano, come capitava per i dottori della legge. Ripeto, si ha un vero grande quando si ha un vero umile.
Ma, voi mi direte: “Dove si colloca allora la professionalità, il sapere tecnico, scientifico?”. Si deve collocare nell’ambito della fede in Cristo. La fede non è il naufragio dell’intelligenza, ma dà all’intelligenza la sapienza che viene dall’alto. La fede è vigore di operazioni, non fiacchezza di mente. La fede è guida per la scienza, e non la sua tomba; e senza la fede la scienza troppo spesso crea immani cimiteri per l’uomo, diventando negazione del vero. Infine, la fede in Cristo è l’anima delle scelte politiche, non un’intrusa paralizzante.
Il granello di senape è piccolo, ma produce cose grandi. Sarà la fede, quella vera, a cambiare il mondo. La fede che Gesù lodò nel centurione con queste parole: “Non ho trovato nessuno con una fede così grande!” (Mt 8,10); e che lodò nella donna CananeaDonna, grande è la tua fede!” (Mt 15,28). Amen. Ave Maria. Vieni, Signore Gesù.