Ascensione del Signore (Anno A) (21/05/2023) Vangelo: Lc 24,46-53
Le parole dell’evangelista Matteo sono le ultime del suo
vangelo: lo chiudono. E, paradossalmente, lo riaprono.
Sono le ultime e le prime. Non chiudono la vicenda di Gesù
come vorrebbe la morte, come se le parole del vangelo
parlassero al passato.
Ecco invece davanti sorprendentemente il presente e il futuro: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino
alla fine del mondo”. Questo è il tempo in cui bisognerebbe scrivere la storia di Gesù, partendo da quel
giorno. Questa pagina del vangelo non è l’ultima neppure per gli undici discepoli che sul monte sentono
parole che hanno dell’incredibile.
Sono una spinta verso i giorni futuri, un invito, un comando a partire, a iniziare, a sconfinare. Gesù dice:
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”. L’avventura cristiana non si chiude sul monte dell’ascensione, ma
si apre e inizia in quel giorno, dopo la discesa dal monte. Gesù aveva detto “fate discepoli” e loro lo
hanno fatto.
L’appuntamento era sul monte. Erano rimasti in undici, uno aveva tradito, uno l’aveva rinnegato, e gli
altri in quella notte erano spariti. Matteo registra una cosa che ha dell’incredibile. Dice di loro che
“dubitavano”. Davanti a Gesù risorto dubitavano! “Quando lo videro, si prostrarono. Essi però
dubitarono”. È scritto: essi, cioè tutti.
Ora penso che io non sono meglio di quei discepoli. Che non ho meritato che Gesù scommettesse su di
me, Eppure a me e a noi, a tutti noi, lui dice ancora: “Andate. Fate discepoli”. Raccontate a tutti che
bella avventura è seguire Gesù, la bellezza di seguirlo. Che fortuna è per questa nostra terra che amiamo
seguire lui e le sue orme!
Ma perché succeda, occorre un sussulto di entusiasmo. Ed è ciò che registriamo nella chiesa di
Antiochia. Non è una chiesa di lacrime, di sconforto o di lamenti. Vivevano dispersi per la persecuzione.
Erano in esilio. E che cosa fanno? Fanno della persecuzione l’occasione per raccontare Gesù. E’ una cosa
splendida. Sanno leggere la loro realtà e non si lamentano ma inventano. Inventare è il verbo del
cristiano.
Anni fa avevo letto una lettera alla città del card. Martini ed elencava diverse forme di evangelizzazione:
per proclamazione, per convocazione, per attrazione, per irradiazione, per contagio, per lievitazione.
Cercava di dire che oggi forse non hanno tanta importanza e non sono risolutivi i raduni oceanici, le
chiese piene di un tempo, ma invece il cammino della fede prende inizio da una domanda che nasce
dalla vita, dalla vita dell’altro, dalla vita degli altri, dalla nostra vita.
Tutti abbiamo nostalgia di una vita buona che irradia, quasi fossimo positivamente contagiati, quasi ci
fosse lasciato in cuore un piccolo seme, una scintilla, un fuoco, una brace, un pugno di sale e un po’ di
lievito. I Cristiani non sono gente da palco, da Ariston, ma sono uomini e donne del racconto. Il racconto
della nostra vita non ha bisogno di teatri, ma ci sono occasioni semplici, ordinarie, quotidiane, forse più
vere, lungo i marciapiedi delle nostre strade o dentro le nostre case.
Quando ci si parla, quando ci si chiede cosa vale la pena vivere o perché vivere, quando ci si chiede il
perché del buio che si è insediato nel nostro cuore. E cercare insieme fraternamente la bussola e la
strada. Siamo piccoli uomini e piccole donne forse, inadeguati forse, ma tutti, indistintamente tutti,
affidati a una promessa, sostenuti dalla stessa promessa. “Io sono con voi, tutti i giorni, fino alla fine del
mondo”. Io sono con voi. Firmato Gesù.