Sacra Famiglia Sir 3,2-6.12-14; Col 3,12-21; Mt 2,13-15.19-23
Il capitolo 2 di Matteo presenta in contrapposizione la ricerca dei Magi nell’andare incontro al Messia, e l’ostilità di Erode che uccide i bambini di Betlemme. Al centro vi sono due sogni di Giuseppe in cu riceve indicazione di fuggire in Egitto e poi di ritornare. Alla fine la famiglia giunge a Nazaret. Ai progetti di morte di Erode si contrappone un annuncio di vita e l’indicazione di una via di salvezza.
I vari momenti sono accostati a citazioni di testi profetici legate ai luoghi: l’Egitto, Betlemme-Rama, Nazareth. Matteo intende così suggerire il senso della nascita di Gesù. Gesù compie il cammino che era stato quello di Israele. Si rinvia all’esodo dall’Egitto, e si insiste sul ‘nome’ di Gesù: ‘il figlio’ e il ‘nazareno’. Un chiave di lettura di queste pagine è un versetto del libro di Osea: “dall’Egitto ho chiamato mio figlio” (Os 2,15).
Erode ha i tratti di un nuovo faraone, rappresentante di un potere politico fautore di progetti di morte. Il cammino di Giuseppe che segue le indicazioni dell’angelo ripropone la vicenda del popolo di Israele perseguitato in Egitto che vive l’uscita dall’oppressione. Proprio nel deserto Israele sperimentò la vicinanza di Dio liberatore: “tu dirai al faraone: Dice il Signore: Israele è il mio primogenito. Io ti avevo detto: lascia partire il mio figlio perché mi serva!” (Es 4,22-24) E’ promessa confermata a Davide: ‘Io gli sarò padre ed egli mi sarà figlio’ (2Sam 7,14). Matteo vede Gesù che ripercorre nella sua vita il cammino della fede di Israele: egli è così il ‘figlio’ che compie la volontà del Padre identificandosi nel popolo di Dio.
Nella scena di persecuzione dei bambini di Betlemme, Matteo rilegge un testo del primo Testamento (Ger 31,15): nella deportazione al tempo della conquista babilonese viene ricordato il pianto di Rachele, moglie di Giacobbe, nel vedere i suoi figli oppressi e uccisi. “Rachele piange i suoi figli, e non vuole essere consolata per i suoi figli, perché non sono più”. Dice il Signore: “Trattieni il tuo pianto, i tuoi occhi dalle lacrime, perché c’è un compenso alle tue fatiche – oracolo del Signore -: essi torneranno dal paese nemico”. La strage voluta da Erode è opera di un potere impaurito e coinvolge ‘tutti’. Gesù, nuovo Mosè, non è accolto nel suo essere profeta e messia.
La narrazione si conclude con una nuova tappa: Giuseppe con Gesù e sua madre rientrano dall’Egitto a Nazareth, in Galilea. Così si specifica che Gesù è nazareno, ‘consacrato’ (come Sansone ‘nazir = consacrato, cfr. Gdc 13,5.7) ed è messia quale ‘germoglio’ dal tronco di Iesse (in ebraico ‘nezer’; cfr. Is 11,1).
Gesù ha i tratti del profeta come Mosè, ed è accostato a Giacobbe, figura singola ed insieme collettiva (Giacobbe porta infatti il nome del popolo, Israele). Giacobbe-Israele scese infatti in Egitto e tornò come popolo numeroso (Gen 46,3). Il cammino della famiglia di Gesù in Egitto ripercorre i passi di Israele-Giacobbe.
Di Giuseppe si ripete ‘prese con sé il bambino e sua madre’: è uomo ‘giusto’, cioè ‘fedele’, disponibile a stare davanti a Dio e a rimanere accanto a Maria. Giuseppe ascolta e ‘prende con sé’. Ascoltare la Parola e farsi carico di coloro che Dio affida: sono i due aspetti della vita della famiglia di Nazareth. Gesù è ‘il figlio’ che rivela il volto del Padre nel suo cammino umano. Nazareth, nell’essere luogo del quotidiano, della vita semplice, delle relazioni umane, è la via scelta da Dio per rivelarsi.
Alessandro Cortesi op
Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com


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