padre Gian Franco Scarpitta”Acqua di salvezza universale”

padre Gian Franco Scarpitta

III Domenica di Quaresima (Anno A) (15/03/2020)

Vangelo: Gv 4,5-42

“E’ meglio morire di bevute, che morire di sete”, dice un proverbio di origine ignota. Come ben si sa, astenersi dal cibo è possibile anche per lungo tempo, ma evitare di bere è praticamente impossibile. Irrimediabilmente si giunge alla morte e per questo l’acqua è identificata, sotto tutti gli aspetti culturali e biologici, come un sinonimo della vita. Senza di essa non è possibile sopravvivere e fin quando non si scopriranno riserve di acqua in altri pianeti, non si potrà mai dire che questi ospitino la vita. Anche nella Bibbia l’acqua è sempre stata elemento di vita e di salvezza, anche in occasione del famoso diluvio universale o nel passaggio degli Israeliti nel Mar Rosso. In casi come questi Dio se ne serve per rinnovare la creazione e apportare liberazione e affrancamento dalla schiavitù. Effettivamente sotto questo aspetto diventa simbolo di morte, ma non finalizzata alla distruzione, bensì orientata al rinnovamento e alla ricomposizione di ciò che era distrutto, quindi di salvezza e di restaurazione. In altre circostanze, l’acqua garantisce invece la vita e il sostentamento e viene ad essere veramente preziosa quando viene a mancare come nei casi di carestia e di siccità o come quando Elia prevede che non piova per tre anni e sei mesi. Il fiume è la fecondità (Ap 22, 2) e se la terra non è fertile, il popolo non può dimorarvi ne sviluppare la vita.

A Massa e Meriba (I Lettura) Dio si mostra garante della vita concedendo nel deserto un’acqua miracolosa che scaturisce dalla roccia, ma vuole che la sua premura venga corrisposta con altrettanta fedeltà e corrispondenza: a partire da Mosè, tutti devono credere nella divina onnipotenza e nella sua reale facoltà di dare acqua e con essa stessa la vita per tutti. Soprattutto nella versione del libro dei Numeri corrispondente alla nostra Lettura (Nm 20) si evince invece che il popolo di Dio, ben distante dalla fedeltà e dalla riconoscenza, anche nella persona di Mosè e di Aronne che dubitano di fronte al popolo: “Vi faremo noi forse uscire acqua da questa roccia?” E anche il popolo dubita, lamentevole, della presenza attiva del Signore e per questo Dio non lascerà impuniti i primi né i secondi. Gesù ci insegna a chiedere al Padre il pane quotidiano, onde metterci al corrente che il sostentamento materiale ci proviene da Dio e noi non siamo bastevoli a noi stessi; egli stesso si definisce anche “pane vivo disceso dal cielo” e mentre nel miracolo della moltiplicazione dei pani garantisce che non verrà mai a mancarci il sostentamento materiale, ci ragguaglia che sarà lui stesso ad essere per noi alimento certo per la vita. Victor Hugo dice che “Dio ha inventato solo l’acqua, ma l’uomo ha creato anche il vino”; ebbene anche questo è elemento di gioia e di sollievo rappresentativo della novità di vita che Cristo stesso, Vino nuovo, viene ad arrecarci e l’identità del vino è indispensabile per ravvisare nello stesso Signore la gioia e la letizia che egli ci comunica indefessamente come Dio fatto uomo apportatore del Regno. Cristo è il vino della gioia e della letizia. Ma se c’è un elemento nel quale egli si identifica con maggiore chiarezza per affermare la sua valenza di Figlio di Dio che salva universalmente e senza limitazioni, questo è l’acqua.

“Dammi da bere”, Gesù chiede alla donna Samaritana incontrata nel pozzo di Sicar e le pone con questa richiesta una necessità materiale, chiede cioè un po’ di quel liquido prezioso che appaga la sete biologica. Allo stesso tempo però si presenta a lei come “acqua che zampilla per la vita eterna”. L’interlocutrice è una donna di Samaria, paese notoriamente ostile e considerato impuro e perverso, non degno neppure di menzione, ma proprio a lei Gesù, che interloquisce con il massimo della confidenza e dell’apertura amichevole che raramente si vede fra queste categorie sociali, offre di quest’acqua di vita. Il carattere di questa acqua è universale perché appunto non conosce limitazioni né confini, ma si estende a tutti i popoli e raggiunge tutte le etnie. La salvezza, rappresentata dall’acqua, è inesorabilmente unica e solo Gesù Figlio di Dio, che raccoglie tutti i popoli in uno, è in grado di garantirla.

Proponendosi a lei e a tutti noi quale “acqua”, Gesù penetra fin dentro il nostro animo, ci scruta e ci conosce come già nel Salmo 138 e tende a riqualificare la nostra vita, mostrando interesse radicato e sincero ai nostri problemi e alla realtà precaria in cui viviamo. Solamente, ci chiede un adesione libera e determinata di apertura nei suoi riguardi nella fede, che è un credere e un aderire incondizionato e libero. Gesù non sconvolge i nostri piani e non vuole irrompere come un ladro di notte nelle nostra vita e nelle nostre consuetudini, ma familiarizzare, accompagnarci e condurci poco per volta verso liti a noi appropriati e considerevoli e proprio l’immagine dell’acqua, elemento irrinunciabile di vita, sottende a questa realtà. Se l’acqua appaga la sete, Gesù estingue la sete inconsapevole di verità e di assoluto, rivelando non soltanto egli stesso come via, verità e vita, ma rivelando anche a ciascuno di noi la realtà di se stesso. Senza questa acqua di vita qualsiasi digiuno volontario è banale, melense e inconcludente e non c’è sciopero della sete che possa conseguirci le nostre vere ambizioni fondamentali.

Fonte:https://www.qumran2.net