Don Marco Ceccarelli Commento XXXI Domenica Tempo Ordinario

XXXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (31/10/2021)

Vangelo: Mc 12,28-34

  • Testi di riferimento: Lv 19,18; Dt 4,35.39; 5,7; 10,12; 30,6; Gs 22,5; 1Sam 7,3; 15,22; Sal 40,7; Is
    44,8; 45,5-6.21-22; Ger 7,21-23; Os 6,6; Mi 6,6-8; Zc 14,9; Mt 9,13; 12,7; 23,23; Lc 7,47; Gv
    15,12; Rm 13,8-9; 1Cor 8,4; 13,1; 2Cor 5,14; Gal 3,20; 5,14; Ef 4,6; Col 4,1; 1Tm 1,5.17; Eb 10,6-
    8; Gc 2,8-13.19; 1Gv 3,17-19; 4,7-10.19.21
  1. Il brano di Vangelo odierno lo ascoltiamo tutti gli anni – cosa più unica che rara – anche nella versione di Mt e di Lc. Ciò è dovuto probabilmente alla grande importanza che ha questo insegnamento di Gesù. Riguarda infatti i due precetti fondamentali del cristianesimo. Tuttavia, ognuno dei tre
    evangelisti sottolinea qualcosa di diverso. La peculiarità in Mc sta essenzialmente in due cose: 1)
    Gesù comincia dal versetto 4 di Dt 6, vale a dire da «Ascolta Israele: il Signore è il nostro Dio, il
    Signore è uno». 2) Lo scriba conferma quanto Gesù ha detto e aggiunge qualcosa di suo mostrando
    di aver compreso l’insegnamento di Gesù. In un Vangelo come quello di Mc dove in genere nessuno capisce, questo fatto ha la sua rilevanza. Nella replica dello scriba abbiamo alcuni elementi importanti (vedi sotto).
  2. Ascolta Israele … il Signore è uno (v. 29).
  • Il fatto che Mc faccia precedere la citazione di Dt 6,4 ci porta a considerare che il comandamento
    (entolé) sta in “ascolta Israele”. Questo è infatti è l’unico imperativo che appare nelle parole di Gesù. Ciò è in linea con quanto appare in tutto l’Antico Testamento, dove quello dell’ascolto di Dio è
    senza dubbio il comando principale e più ripetuto. Basti ricordare Ger 7,21-23: «Io non parlai ai vostri padri, né diedi ordini a loro … riguardo all’olocausto e al sacrificio, bensì questa cosa ordinai
    (entellomai) loro: “Ascoltate la mia voce e io sarò vostro Dio e voi sarete mio popolo”». Ascoltare
    la voce di Dio significa obbedire a Lui. E siccome Lui è il Signore ed è Uno, allora l’obbedienza
    non può che essere totale e assoluta. Questa è la chiave per capire anche il resto del precetto citato
    da Gesù. Amare Dio con la totalità della propria persona significa obbedirgli in tutto.
  • La fede nell’unicità di Dio, caposaldo della fede ebraica (nonché cristiana), non è stata di rapida e
    facile acquisizione, come ci insegna la storia della salvezza. Per quanto possa sembrare ovvio che
    Dio deve essere uno solo, di fatto non è così scontato. Senza contare la quantità di gente che ancora
    oggi professa una religione politeista, anche per noi, cosiddetti monoteisti risulta che insieme
    all’unico (supposto) Dio ne abbiamo tanti altri; tante altre realtà a cui serviamo, sacrifichiamo parte
    della nostra vita e che amiamo almeno tanto quanto il Signore. Ma la fede nell’unicità di Dio non è
    e non può essere semplicemente qualcosa di teorico e intellettuale; ha invece, e deve avere, un risvolto “etico” assolutamente adeguato. Per questo alla fede – che è sempre prioritaria – non può che
    seguire la “morale”: «Allora amerai il Signore tuo Dio da tutto il tuo cuore …».
  • L’unicità di Dio implica a sua volta anche l’amore al prossimo; a qualsiasi prossimo. Se esistono
    molti dèi, se ogni popolo fa riferimento ad un proprio dio, potremmo sentirci autorizzati a non considerare tutti gli uomini come un’unica stirpe. Ma se Dio è uno, tutti proveniamo dall’unico Creatore e tutti abbiamo il diritto di essere amati e il dovere di amare coloro che da Lui provengono, anche
    se magari ancora non lo conoscono al nostro stesso modo. L’unicità di Dio è sorgente e fondamento
    della vera fraternità.
  1. La risposta dello scriba.
  • La professione di fede. Lo scriba fa una professione di fede, riconoscendo la verità di quanto affermato da Gesù. Anche se è un ebreo e conosce l’importanza della fede nell’unicità di Dio, egli accoglie anche la verità del secondo precetto, quello relativo al prossimo. Con questa sua confessione egli riconosce allo stesso tempo l’autorità e la validità dell’insegnamento di Gesù. Egli non si è avvicinato a Gesù, come altri hanno fatto, per tentarlo, ma con l’intenzione sincera di comprendere.
    Egli ha replicato “intelligentemente” (v. 34) a quanto detto da Gesù, cioè ha accolto, assimilato, approfondito e fatto suo l’insegnamento di Gesù; ciò fa sì che egli si trovi non lontano dal regno. Che
    lo scriba non si sia limitato a ripetere quanto Gesù ha detto, ma lo abbia approfondito intelligentemente con una riflessione sua, lo si vede in due punti.
  • Innanzitutto egli unisce l’affermazione presa da Dt 6,4 con il primo comandamento: «non avrai altro Dio all’infuori di me» (Dt 5,7). Se il Signore è uno solo significa che occorre eliminare tutti gli
    altri dei; significa che non ci può essere spazio nel proprio cuore, mente e forza per altri dei. A questo proposito si può ricordare quanto Gesù aveva detto al ricco a proposito della vendita dei beni
    (Mc 10,16ss.) e riguardo al tagliare la mano, il piede, ecc., per entrare nel regno (Mc 9,43).
  • In secondo luogo lo scriba aggiunge anche un altro elemento importante: L’amore di Dio e del
    prossimo “è molto più” di tutti gli olocausti e sacrifici. Questa affermazione, che ricorda alcune simili dell’AT (1Sam 15,22; Os 6,6), ci pone all’interno del contesto templare. I capp. 11-12 di Mc
    sono fortemente caratterizzati da questo contesto; Gesù agisce e insegna all’interno o in prossimità
    del tempio (Mc 11,11.15.27; 12,35). Il Tempio è la casa di Dio, il luogo dove presentare le offerte e
    i sacrifici. Qui sorge spontanea una domanda: ma i sacrifici e gli olocausti che si offrono a Dio non
    sono un segno dell’amore verso di Lui? Perché allora metterli in antitesi? In realtà essi non sono in
    contrasto con l’amore, ma con il “tutto”. L’offerta di sacrifici a Dio è tipica dell’uomo religioso che
    offre sì qualcosa, ma non “tutto”. Dio non è mai tutto, per questo tipo di uomo. Inoltre. l’uomo religioso fa queste cose in funzione di se stesso. Si fanno i sacrifici e le offerte per guadagnarsi il favore di Dio, affinché Egli conceda quello che l’offerente desidera. Il passaggio alla fede sta nell’avere
    conosciuto un Dio d’amore che mi parla per il mio bene, e obbedendo al quale io so di essere felice.
    L’amore nei confronti di Dio non è nulla di astratto o di sentimentale; esso equivale piuttosto
    all’obbedienza. È nell’ascolto e nell’obbedienza a Dio che si manifesta l’amore a Lui sopra ogni cosa. Per questo, in fondo, il primo e fondamentale comandamento sta in quel “Ascolta Israele” (v.
    29); il resto non è che una esplicitazione di cosa significhi aver imparato ad ascoltare Dio. Così
    l’obbedienza vale più di tutti gli olocausti e i sacrifici (1Sam 15,22), perché è nel fare la volontà di
    Dio che troviamo la felicità; come ha fatto Gesù che non ha avuto bisogno di offrire sacrifici ogni
    giorno, perché lo ha fatto una volta per tutte offrendo se stesso (seconda lettura). Dio chiede di
    amarlo con tutta la vita non perché abbia bisogno di qualcosa da parte nostra, ma perché sa che
    l’uomo realizza la sua vocazione, la sua aspirazione alla felicità, nell’amore totale, nel donarsi totalmente. È quando facciamo la volontà di Dio completamente, e non soltanto con una parte di noi
    stessi come è tipico dell’uomo religioso, che siamo felici.

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