Battista Borsato “Vivere trinitariamente”

Santissima Trinità (Anno A)  (04/06/2023) Vangelo: Gv 3,16-18 

In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: “Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito,
perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio
nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in lui non è
condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio
di Dio”.
(Gv 3, 16-18)
Oggi la chiesa celebra il mistero della Trinità, o meglio l’evento di Dio che è uno e trino. Da
ragazzo frequentando la catechesi spesso domandavo alla catechista il significato del Dio uno e
trino, anzi la interrogavo su come fosse possibile un Dio al contempo uno e tre. Mi appariva
un’assurdità, di cui non capivo il senso. E anche inoltrandomi poi negli studi teologici mi
incontravo con molte spiegazioni di celebri pensatori che tentavano di chiarire questo mistero o
questo evento. Nel cammino della mia vita e della mia riflessione mi sembra di aver colto che
questa verità di Dio uno e tre non è tanto da capire ma da vivere. L’uomo è chiamato a vivere
trinitariamente. Che cosa può voler dire vivere trinitariamente? Dentro a questo importante mistero
mi pare risieda una chiamata a vivere tre atteggiamenti espressi in tre verbi: uscire da sé, amare la
diversità, coltivare il dialogo e il confronto.
 “Uscire da sé”. La persona cresce e diventa se stessa, non chiudendosi nel suo io, ma
aprendosi agli altri. Scrive Vito Mancuso: “Quanto più l’uomo pone il proprio sé al di fuori
di sé, tanto più diventa se stesso, quanto più si dona, tanto più si riceve”.
Questo pensiero è esposto lucidamente nella Bibbia. Nel libro della Genesi si racconta che
Dio, con un linguaggio metaforico, di fronte ad Adamo che era solo affermi: “Non è bene
che l’uomo sia solo, gli creerò uno che gli corrisponda”. Qual è il significato? L’uomo non
si fa da solo, si fa con gli altri. Ed il primo altro è il partner. L’uomo quindi diviene e si
costruisce nel rapporto con gli altri. È l’altro che ti sveglia, ti incita, ti chiama per nome, ti
definisce. E non solo la persona singola ha bisogno di altre persone per essere sollecitata e
stimolata a crescere, ma pure ciascun popolo. Un popolo non si fa da solo. Ma cresce nel
dialogo e nel confronto con gli altri popoli, con le altre culture. Noi soprattutto occidentali
siamo individualisti, abbiamo paura dell’altro e non riusciamo a capire che gli altri,
soprattutto i diversi sono stimoli, domande, schiusure per crescere di più. Come pure ciascun
popolo diventa un popolo libero e potrà esprimere la propria originalità, quando si lascia
allargare da pensieri e prospettive di altri popoli. Allora il primo atteggiamento per vivere
trinitariamente è uscire e cercare il confronto e il dialogo con tutti, perché appunto, come
sostiene la Bibbia, “non è bene che l’uomo sia solo”, ma che neppure “un popolo sia solo”.
 “Amare la diversità”. Da qualche tempo, almeno da parte mia, sto scrivendo e affermando il
valore dell’amarsi nella diversità. I due della coppia sono diversi e devono amarsi come
diversi e amarsi lasciandosi diversi. L’amore vero è amare l’altro per l’altro, amarlo com’è
nella sua diversità e libertà. Invece c’è la tendenza, da parte dell’uomo, di imporre alla
donna il suo modo di pensare e di scegliere, come da parte della donna c’è la spinta a far
prevalere il suo modo di amare e di sentire. Amarsi nella diversità è consentire all’altro di
essere se stesso, diverso. Dobbiamo riconoscere che noi siamo stati educati all’uniformità,
ad avere un pensiero unico, a pensare tutti allo stesso modo, ad avere un’unica lingua,
un’unica liturgia. In noi è entrata la paura della diversità. La Chiesa per secoli ha imposto

una sola liturgia, una sola lingua, il latino, un’unica pastorale, un’unica teologia e chi si
sottraeva a questa uniformità era giudicato eretico, e perciò condannato.
Oggi per fortuna, sotto l’impulso innovatore del Vat. II si parla del valore del pluralismo e
della ricchezza del pensiero plurale: ogni persona ha un suo dono originale e irripetibile,
ogni popolo ha un suo carisma specifico e questi doni e carismi non vanno uniformati e
omologati, ma risvegliati e accolti. L’amore alla diversità è amore alle persone che sono
diverse, è amore alle differenti culture e questa diversità diventa sollecitazione per tutti. In
Dio, come ci indica la liturgia di oggi ci sono tre persone uguali, ma diverse. Il Padre non è
il Figlio e il Figlio non è lo Spirito Santo: ciascuna persona ha il suo dono e il suo ruolo.
Così la famiglia dovrà diventare trinitaria in cui ciascuna persona è diversa, e va amata e
accolta come diversa, solo così la comunità famigliare diventerà icona della Trinità.
Pure la Chiesa dovrà essere trinitaria nella quale ci sono doni diversi, carismi originali,
coscienze e cammini differenti che vanno accolti e promossi. Si deve vincere l’idea di una
Chiesa uniforme che non consenta il fiorire dei vari doni e delle varie idee. Questo va fatto
non solo per rispettare le originalità presenti nelle persone, ma anche perché questa è la
strada per camminare verso la pienezza della verità. Scrive il filosofo ebreo Levinas: “Le
persone sono molteplici e diverse perché ciascuna contiene un aspetto della verità e ciascuna
persona è chiamata a scoprire e svelare un senso della Parola di Dio e quindi della verità. Il
cammino verso la verità avviene quando i sensi, e quindi, le diverse persone si ascoltano”.
 “Coltivare il dialogo e il confronto”. Il terzo atteggiamento per vivere trinitariamente è
appunto la riscoperta del valore del dialogo e del confronto. Un mio amico neuropsichiatra
infantile mi ha redarguito perché io propugnando il valore della diversità nella coppia
spingerei le due persone a rimanere differenti e quindi a non incontrarsi e a viversi da
paralleli. Il rischio ci può essere, ma la mia convinzione è all’opposto. Se uno è differente da
me, dovrò sentire il bisogno di conoscere la sua differenza per allargarmi con la sua
originalità.
Se ognuno di noi è differente, è anche parziale, non è tutto; cresciamo nel dialogo e nel
confronto con le diversità. Scrive il filosofo Garaudì, “Ogni persona è una parte di me che
mi manca”. Il sentirsi parziali e differenti dovrebbe essere una spinta vigorosa a incontrare
le persone e relazionarsi e non solo all’interno della propria famiglia o della Chiesa ma pure
dentro nella vita sociale e civile. Il coltivare il dialogo con tutte le culture, le razze e
religioni è per accrescere in umanità e far brillare maggiormente la verità.
Due piccoli impegni:

  • Solo amando e accogliendo la diversità, cresciamo.
  • Non aver paura del differente: è lo stimolo per diventare se stessi.

Battista Borsato