XIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (02/07/2023) Vangelo: Mt 10,37-42
L’amore per i genitori e per chi condivide lo stesso sangue è quanto di umanamente più intenso a livello di relazioni interpersonali nelle condizioni ordinarie della vita, salvo le possibili eccezioni. Eppure l’amore di Cristo, che suscita una risposta totalizzante nel discepolo, ha esigenze ancora più forti e radicali: non ammette compromessi, neppure di fronte all’amore verso coloro con i quali intratteniamo relazioni di sangue, come genitori e fratelli. Soltanto questa radicalità ci rende degni di una risposta all’altezza. Seguire Cristo, in maniera piena, come è chiesto al vero discepolo, ha il sapore della croce, ossia del dono pieno e totale di sé. Gesù ha vissuto questa pienezza nei confronti del Padre e nei confronti dell’umanità, donandosi senza riserve, dando la propria vita. Amare, infatti, secondo la verità del suo senso, non può non tradursi nel dono della vita per l’amato. In questo dono si realizza il vero senso della vita, che apparentemente perduta per il mondo, si trasfigura nel suo vero significato davanti al Padre. Soltanto con gli occhi della fede si può comprendere come un’apparente perdita di comodità, libertà e successo personale, possa coincidere con la vera realizzazione della propria esistenza umana, immagine e somiglianza di Dio, che si disperde nel fuoco dell’amore divino. Questa “vulnerabilità” del discepolo, che non vive più per sé stesso, ma per Cristo, richiede un’accoglienza adeguata in coloro che sono destinatari del suo annuncio e della sua missione. Tale apertura di cuore e generosa ospitalità non è dettata da una dignità che nasce da privilegi o ruoli, ma dall’essere portatori della presenza di Cristo. Si costituisce, dunque, un circolo virtuoso tra la bellezza della radicalità del discepolato e l’accoglienza generosa dello stesso. Il discepolo è chiamato ad accogliere senza riserve l’amore di Dio in sé e colui che lo incontra a riconoscervi sempre di nuovo la presenza di Dio, che gli parla e lo provoca. Questo doppio movimento spirituale non potrà mai essere possibile senza la fede. Che lo Spirito ci illumini sempre e ci doni questo sguardo “differente”.
Bene-dire (a cura di don Francesco Diano)
Mio Dio, mi dai dei tesori da custodire, fa’ che li custodisca e li amministri bene. […] Mi piace aver contatto con le persone. Mi sembra che la mia intensa partecipazione porti alla luce la loro parte migliore e più profonda, le persone si aprono davanti a me, ognuna è come una storia, raccontatami dalla vita stessa. E i miei occhi incantati non hanno che da leggere. […] Sono ammalata, non ci posso far niente. Più tardi raccoglierò tutte le lacrime e le paure, laggiù. In fondo lo faccio già in questo letto. Forse è per questo che ho la febbre e il capogiro? Non voglio essere il cronista di orrori. E neanche di fatti sensazionali. Ancora stamattina ho detto a Jopie: eppure arrivo sempre alla stessa conclusione: la vita è bella. E credo in Dio. E voglio stare proprio in mezzo ai cosiddetti ‘orrori’ e dire ugualmente che la vita è bella. E ora eccomi coricata in un angolino con febbre e capogiro, e non posso far nulla. Poco fa mi sono svegliata con la gola secca, ho afferrato il mio bicchiere ed ero così riconoscente per quel sorso d’acqua, ho pensato: se solo potessi andare in giro fra quelle migliaia di uomini ammassati laggiù e potessi offrire un sorso d’acqua ad alcuni di loro. Ogni volta mi dico: su, non è poi così grave, sta’ tranquilla, non è così grave, sta’ tranquilla. Quando capitava che una donna o un bambino affamato si mettessero a piangere dietro uno dei nostri tavoli di registrazione, mi mettevo dietro di loro, quasi a proteggerli, le mie braccia incrociate sul petto, sorridevo un pochino e dentro di me dicevo a quell’esserino rannicchiato e smarrito: tutte queste cose non sono poi così gravi, non sono proprio gravi. Rimanevo là e c’ero, si poteva far altro? A volte mi sedevo vicino a qualcuno, passavo un braccio intorno a una spalla, non dicevo molto e guardavo le persone in faccia. Nulla mi era nuovo, non una di quelle espressioni di dolore umano. Tutto mi pareva così familiare, come se sapessi e avessi già vissuto ogni cosa. E alla fine di ogni giornata mi dicevo sempre: voglio tanto bene agli uomini (E. HILLESUM, Diario 1941-1943, Milano 19925, 232s.)
Preghiera
Ti amo, mio Dio,
e il mio unico desiderio
è di amarti fino all’ultimo respiro della mia vita.
Ti amo, Dio infinitamente amabile,
e preferisco morire amandoti,
piuttosto che vivere
un solo istante senza amarti.
Ti amo, Signore,
e l’unica grazia che ti chiedo
è di amarti eternamente.
Mio Dio, fammi la grazia
di morire amandoti
e sapendo che ti amo.
Mio Dio, a misura
che mi avvicino alla mia fine,
fammi la grazia
di aumentare il mio amore
e di perfezionarlo.
(Curato d’Ars, Scritti scelti)
