Don Marco Ceccarelli Commento XV Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (16/07/2023)

I lettura: Is 55,10-11
II lettura: Rm 8,18-23
Vangelo: Mt 13,1-23

  • Testi di riferimento: Dt 29,1-4; Sal 81,12-13; 82,5; Is 6,9-10; 29,10-14; 40,8; 44,18; 50,4-5; 53,10;
    Ger 4,3-4; 5,21; Ez 12,2; Os 14,8; Zc 1,5-6; 7,11; Mt 4,17.23; 5,18; 11,25-26; 13,51-52; 15,10-16;
    16,8-12; 24,35; 25,29; Lc 8,18; Gv 12,40; 15,5.16; At 2,37; 16,14; 28,26-27; Rm 11,8; 1Cor 2,14;
    2Cor 3,14-16; 4,3-4; 1Tm 6,9-10.17; Eb 5,11; Gc 1,21-22; 5,1-3; 1Pt 1,10-12.23-25; Ap 3,20
  1. Il discorso in parabole.
  • Perché in parabole. Il brano di Vangelo odierno presenta la prima parte di un lungo discorso di Gesù, composto prevalentemente di parabole. Certamente di parabole ne appaiono anche in altre parti di Mt. Tuttavia questo discorso è particolarmente significativo, anche perché qui Gesù spiega il motivo del suo parlare in parabole. E il motivo è quello espresso al v. 11: «A voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli; a quelli invece non è dato». I “voi” sono i discepoli; “quelli” sono le “molte folle” di cui si parla al v. 2 e a cui Gesù si rivolge con le sue parabole. Vale a dire: Gesù parla a tutti in parabole, cioè in maniera enigmatica, o ambigua, di modo che uno non abbia una comprensione immediata o certa di quello che ascolta. Ai discepoli invece, in disparte, spiega le parabole. Questo è sorprendente, perché sembra scandaloso che qualcuno venga deliberatamente escluso dalla conoscenza dei misteri del regno. E tuttavia Gesù parla in modo misterioso proprio perché non comprendano: «Per questo parlo loro in parabole, perché vedendo non vedano, e ascoltando non ascoltino né intendano» (v. 13).
  • I misteri del regno. L’oggetto fondamentale, se non unico, della predicazione di Gesù è il regno dei cieli. I discorsi di Gesù servono a presentare la realtà di questo regno, in cosa esso consista, quali siano le sue caratteristiche. Anche le parabole hanno questo scopo. Si può capire in cosa consista il regno dei cieli che si è fatto vicino nella persona di Gesù se si è disposti ad accogliere lui e la sua predicazione; se si è appunto dei piccoli disposti ad imparare (Mt 11,25). Ma se c’è un atteggiamento di chiusura nemmeno le realtà più evidenti – come sono stati ad esempio i miracoli che lui ha compiuto – riescono a scalfire la cecità di chi non vuole vedere, di chi si aspetta qualcosa di diverso rispetto a ciò di cui Cristo parla. Così le parabole hanno lo scopo di svelare e nascondere allo stesso tempo, per realizzare la profezia di Isaia riportata ai vv. 14-15: «Ascoltate pure, ma certo non intenderete; e guardate pure, ma certo non vedrete. È stato infatti reso duro il cuore di questo popolo …
    affinché non vedano con gli occhi, e non ascoltino con gli orecchi, e con il cuore non intendano, e non si convertano e io non li guarisca». Vediamo in qualche modo realizzato quanto ascoltato nel Vangelo di domenica scorsa: Dio ha voluto tenere nascoste “queste cose” – cioè i “misteri del regno” – ai sapienti e intelligenti (11,25-26). Il motivo di ciò viene spiegato dalla parabola.
  1. La parabola dei “quattro terreni”.
  • Questa parabola non è una parabola fra le altre, la prima di una lista, ma vuole indicare il criterio decisivo, la condizione sine qua non, per comprendere le altre parabole, e quindi i misteri del regno di Dio. La parabola serve come paradigma di ciò che avviene quando Gesù parla in parabole riguardo al regno dei cieli. Infatti nel parallelo di Mc 4,13 Gesù dice ai discepoli: «Se con capite questa parabola, come comprenderete tutte le parabole?». Così la parabola spiega perché ad alcuni “non è dato” di capire le parabole (Mt 13,11). Perciò si tratta di una parabola che vuole spiegare come vanno ascoltate le altre parabole e l’insegnamento di Gesù in genere.
  • La chiave del brano sta nell’espressione “parola del regno” del v. 19 (che equivale al “Vangelo del regno” di 4,23). Perciò il punto della parabola e della sua spiegazione che è “ciò che” viene seminato (vv. 19.20.22.23, non si usa la parola “seme” – nonostante le traduzioni – e diversamente dalla successiva parabola della zizzania), e sul terreno in cui cade. La parabola invita ad identificarsi con un tipo di terreno. La spiegazione della parabola chiarisce che cosa viene seminato e a cosa corrispondono i diversi terreni. Ciò che viene seminato è “la parola del regno” (v.19). Tutti ascoltano,
    ma solo alcuni capiscono. Questi portano frutto perché la parola è penetrata dentro il cuore. Il terreno buono corrisponde a quelli che, oltre ad avere ascoltato, hanno anche compreso. E si comprende con il “cuore” (v. 19). Nel linguaggio biblico la sede della comprensione è il cuore; equivale a quello che per noi è la mente, l’intelletto. La strada fatta di terreno duro, in cui il seme non può penetrare, rimanda al “cuore indurito” (v. 15) in cui la parola non penetra. Il cuore indurito è una mente che non è disposta a rinunciare ai propri progetti, alla propria volontà, alle proprie idee, alle proprie convinzioni, per convertirsi alla volontà, ai progetti, alle idee di Dio. Se uno non è disposto a comprendere, se uno non è disposto a convertirsi, ad accogliere le vie di Dio che sono diverse dalle nostre, non lascerà mai entrare nulla nel suo cuore, cioè nella sua mente. Il terreno buono è colui che ascoltando accetta di fare entrare in sé la parola, la comprende e porta frutto. Questo vale per tutte le parabole.
  • La comprensione della parola.
  • Il cuore indurito. Sebbene la parola arrivi sempre al cuore (cfr. At 2,37), esso può essere indurito (Mt 13,15) e non capire nulla; però la parola compie sempre la sua missione (prima lettura), perché costringe a vedere come sta il cuore. La parola di Dio costringe a vedere con che disposizione di cuore si sta ascoltando, se si è disposti a fare la volontà di Dio o no. Davanti alla difficoltà di comprensione la parola il superbo la rigetta, o la interpreta secondo le sue categorie; e non si umilia a riconoscere che ha bisogno di qualcuno che gliela spieghi.
  • Ai discepoli Gesù spiega la parabola. Al v. 18 Gesù non dice “ascoltate l’interpretazione della parabola”, ma “ascoltate la parabola”. Essi avevano già ascoltato la parabola, come gli altri, ma ora ai discepoli viene “spiegata” perché possano capirla. Ciò significa che si ascolta veramente soltanto quando si capisce; e in questo consiste la loro “beatitudine” (v. 16). Qui il termine chiave è appunto “comprendere”. Quello che conta non è ascoltare (tutti ascoltano), ma capire ciò che si ascolta.
    Questo chiarisce il v. 13: ascoltare senza ascoltare significa ascoltare senza capire. Va notato che tutti i quattro tipi di uomini ascoltano; in tutti è seminata la parola del regno nel loro cuore. Però il problema è “come si ascolta” (Lc 8,18), vale a dire se si capisce o meno tale parola. Un esempio di questo lo abbiamo in Mt 15,10-16. Qui Gesù dice alla “folla”: “Ascoltate e comprendete” (v. 10). Poi però i discepoli (v. 12) gli dicono che i farisei “avendo ascoltato la parola si sono scandalizzati”.
    I discepoli stessi chiedono a Gesù di spiegare loro la parabola (v. 15), e Gesù dice loro: Siete anche voi senza intendimento? (v. 16). Vediamo dunque le tre fasi: 1) Occorre ascoltare e comprendere; 2) Chi sta mal disposto quando non capisce si scandalizza e non cerca la spiegazione (i farisei avranno pensato che Gesù stesse contestando la legge mosaica); 3) Chi è disposto a conoscere la volontà di Dio riconosce la sua piccolezza davanti al mistero e chiede spiegazioni per capire.
  • In questo vediamo esplicitato cosa significhi che solo ai piccoli sono rivelati i misteri del regno (Mt 11,25). Il terreno buono è rappresentato dai discepoli che sono coloro ai quali Gesù spiega e fa comprendere le parabole. L’accoglienza della parola del regno implica la conversione (4,17), la disponibilità a lasciare entrare dentro di noi la comprensione della realtà come la vede Dio. Solo chi riconosce che le vie e i pensieri di Dio sono diversi dai nostri (Is 55,8-9), ed è disposto a lasciarsi ammaestrare, arriverà alla comprensione di Cristo e del regno che con lui arriva. Così come è stato per Maria (Lc 2,50-51), la quale davanti ai “fatti” (o “parole”) che non capisce custodisce “tutte le parole nel suo cuore”, in attesa che Dio le illumini.

Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it