XXVII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (08/10/2023)
Le ultime parole contengono tutto il senso della parabola: “a voi – ricordiamo: Gesù sta parlando ai sacerdoti e ai capi del popolo ebreo – sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti”; ma nelle parole e nel pensiero di Gesù, quale sarà quel popolo a cui sarà dato il regno di Dio e che ne produrrà i frutti?
Potremmo rispondere intuitivamente, e correttamente, che si tratta dei cosiddetti popoli non ebrei, definiti genericamente “pagani”. La storia ci dice in effetti che il vangelo fu rifiutato da molti figli di Israele e, al contrario, accolto da molti uomini di altre appartenenze religiose.
Dobbiamo andare oltre. Sappiamo che nella Chiesa siamo invitati a riconoscere la pienezza della presenza di Cristo. Ma quel “voi” pesa come un macigno anche per i cristiani di oggi, perché la realtà del regno di Dio non coincide con i confini visibili della Chiesa, e vi possono essere persone di buona volontà che, pur ignorando Cristo in tutto o in parte, nel loro sincero desiderio di giustizia e di verità, di fatto, portano in questo nostro mondo i frutti più belli dell’amore di Dio, dell’amore che è Dio.
Oppure ci possono essere cristiani che per mille motivi, non sempre e non del tutto dipendenti dalla propria volontà, si trovano in situazioni sacramentalmente “irregolari”. Ma quanto più l’amore di Dio è presente e regna in persone che, riconoscendo i propri sbagli, vivendo come possono la comunione con il Signore, vivono sinceramente una nuova relazione affettiva, rispetto a chi vive situazioni, diciamo regolari, ma senza alcun slancio del cuore, nella massima freddezza e senza la minima preoccupazione per la custodia dell’amicizia di Cristo, e senza alcun pentimento per i propri errori!
E voglio concludere anche con un esempio che riguarda la vita di noi consacrati e sacerdoti. Con la vocazione religiosa ci sono stati donati frutti abbondantissimi di questa meravigliosa vigna che è il regno, l’amore di Dio. Ma a volte la castità del cuore, ad esempio, non è un amore indiviso per i confratelli e per il popolo di Dio, ma piuttosto la sterilità totale, la freddezza e l’indifferenza di fronte a tutto e a tutti. Anche qui i frutti dell’amore di Dio apparterranno piuttosto a chi, pur nell’apparente infedeltà ai suoi voti, avrà cercato di mantenersi vivo nel cuore, pubblicamente abbandonando lo status di religioso e cercando di recuperare la sua vita in una dimensione coniugale. Di esempi se ne potrebbero fare tanti; ricordiamoci comunque che chi veramente è stato toccato dall’amore di Dio non potrà, non dovrà, mai sentirsi a posto e arrivato. Ci guidi l’esempio di quel grande santo dei primi secoli cristiani, Agostino d’Ippona, definito non a caso “inquieto cercatore di Dio”. Cari amici, con gli auguri di pace e di bene questa settimana aggiungo gli auguri di una SANTA inquietudine.
Fonte:http://fradamiano.blogspot.com/
