XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno A) (12/11/2023)
Ormai sembra un fatto consolidato: la parola chiave che descrive lo stato d’animo delle nuove generazioni, e forse in generale gli ultimi tempi, è “ansia”. Questo termine si è diffuso velocemente nel gergo colloquiale di giovani e meno giovani, è quasi un nuovo paradigma, declinato di volta in volta a seconda delle situazioni, passando dalla classica “ansia da prestazione” alla recente “eco-ansia”, quasi permeando l’atmosfera che respiriamo.
A uno sguardo superficiale anche il Vangelo sembra abitato da una certa ansia, soprattutto quando annuncia un giudizio di cui non si sa “né il giorno né l’ora”. L’ignoto fa paura, e oggi di riflesso associamo la paura all’ansia, senza distinguerle per quello che sono: due momenti distinti, come sono distinti la domanda e la risposta, la sfida e la resa.
La domanda di Gesù incute timore, ma la sua risposta è il contrario dell’ansia, il contrario di ogni chiusura. Il suo giogo è davvero leggero, perché alla paura dell’ignoto lui risponde con la promessa, l’annuncio di una speranza.
Racconta di una notte in cui il buio avvolgeva dieci vergini, a cui era però arrivata la domanda, l’invito ad andare «incontro allo sposo», è per questo che già «uscirono», fuori di casa e da ogni sicurezza.
Nessun tribunale le ha convocate a processo, è una festa che le invita, è la gioia di un matrimonio. La loro è la veglia di un’alba, di un matrimonio, cioè di un’unione: niente di meno che la speranza di un amore. È la promessa della gioia.
In questa notte di prova, di “attesa” e di “attenzione”, stranamente, non bisogna “fare” niente. Nessun’ansia da prestazione per nessun esame.
L’ansia infatti è grigia, asfissiante come una nebbia, mentre questa notte resta oscura, ignota e, proprio per questo, pronta ad essere illuminata, squarciata dalle luci delle lampade: è ancora aperta. La porta verrà chiusa dopo.
Quel “dopo” è insieme rimandato e atteso, genera timore e tremore, ma anche preparazione alla gioia. Una preparazione che dipende da qualcosa che non si può scambiare, acquistare, misurare. L’olio della parabola non è infatti “una certa dose” di altruismo e devozione comparabili e valutabili: ciascuno ha il suo, se lo prende da un altro non funziona, non basterebbe a nessuno. Alla fine lo sposo dice alle vergini che non si sono preparate, «in verità io vi dico: non vi conosco», non come un verdetto autoritativo, una condanna spietata, ma come rivelazione profonda, quanto certamente drammatica, della verità più intima del loro incontro: in verità non si conoscono perché non lo hanno davvero voluto aspettare.
Non era un esame, ma un rapporto personale. Il tuo cuore non puoi chiederlo in prestito.
di RICCARDO SABATO
Fonte:https://www.osservatoreromano.va/
