I Domenica di Avvento (Anno B) (03/12/2023)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Fate attenzione, vegliate, perché non sapete quando è il momento. È come un uomo, che è partito dopo aver lasciato la propria casa e dato il potere ai suoi servi, a ciascuno il suo compito, e ha ordinato al portiere di vegliare.
Vegliate dunque: voi non sapete quando il padrone di casa ritornerà, se alla sera o a mezzanotte o al canto del gallo o al mattino; fate in modo che, giungendo all’improvviso, non vi trovi addormentati. Quello che dico a voi, lo dico a tutti: vegliate!».
Avvento. Venuta. Il termine “venuta” è il significato di quella parola che dà il nome al periodo dell’anno liturgico che ci apprestiamo a vivere. Quattro settimane, vestite di viola, che ci preparano non solo a fare memoria di quella che è stata la prima venuta del Signore Gesù sulla terra, quando ha assunto su di sé la nostra carne e la nostra vita a partire dall’umile grotta di Betlemme, ma che ci presenta (soprattutto nelle sue prime due domeniche) il tema dell’attesa del ritorno finale di Cristo, quando Egli verrà nella gloria e si presenterà a noi definitivamente come il sovrano, giusto, fedele ed amorevole, di tutta la realtà e della nostra vita. “Vieni, Signore Gesù” è la supplica che l’apostolo Giovanni pone al termine dell’Apocalisse (cfr. Ap 22,20) e che siamo invitati a ripetere in diverse forme ed occasioni durante questo periodo dell’anno (I lettura), nell’attesa del giorno in cui tutto sarà compiuto.
Il brano di Marco della Liturgia di questa prima domenica d’Avvento è tratto dal capitolo tredicesimo, che precede immediatamente l’inizio del racconto della Passione. Come in tutti i vangeli sinottici, gli ultimi capitoli di “vita pubblica” del Maestro sono interessati da parole circa gli ultimi tempi. In modo particolare Gesù si rivolge al suo uditorio con l’immagine di un padrone che si allontana dalla sua tenuta e che, dopo molto tempo, ritorna (riecheggiano ancora in noi le parabole dello sposo che, dopo una lunga attesa, giunge presso le dieci vergini e quella del padrone che, dopo un’importante assenza, torna dai suoi tre servitori per chiedere loro conto dei beni concessi). La fine della Storia è dunque presentata come un ritorno a casa da parte di Dio nelle vicende degli uomini, il ritorno a casa di un padrone che vuole ristabilire un rapporto con i suoi servi, con coloro ai quali ha consegnato in toto la gestione della sua casa e il potere su di essa.
Se riflettiamo a fondo, infatti, scopriamo come la nostra esistenza sia in realtà una perenne attesa, un irriducibile desiderio, un inestinguibile anelito verso qualcosa, o qualcuno, che sentiamo appartenerci anche se ci sfugge. Percepiamo di averne bisogno, che siamo fatto per questa dimensione, pur constatando che sfugge alle umane forze: nel nostro cuore è vivo il ricordo di questo padrone, del quale però non ricordiamo più il volto, né udiamo la voce. Giusta è proprio la definizione di Blaise Pascal secondo il quale “quest’abisso infinito non può essere colmato se non da un oggetto infinito e immutabile, ossia Dio stesso. […] L’uomo è come un re spodestato, che tende solo a ritrovare la grandezza perduta” (Francesco, Sublimitas et miseria hominis. Lettera apostolica nel IV centenario della nascita di Blaise Pascal). Un re spodestato, o meglio, un servitore che attende.
Forse questa è una consapevolezza che riposa nella nostra mente e nel nostro cuore di credenti. Forse è stata proprio quella consapevolezza che tanti anni fa, magari negli anni della contestazione adolescenziale, ci ha fatto comprendere la ragionevolezza del nostro cammino di fede e del nostro inesorabile bisogno di Dio. Eppure a volte capita di dimenticarsi di questa consapevolezza, spesso (nonostante la nostra buona volontà) questa esperienza si lascia adombrare dalle fatiche che quotidianamente ci vedono occupati, da quest’attesa del padrone e dello sposo che si prolunga. Ecco allora l’invito di Cristo a vegliare: si riesce a vegliare solo quando si ricorda della ragione per cui non ci si corica, facendo memoria del perché o del per-chi rimaniamo vigili. Affinché il padrone non ci trovi lontani da lui al suo ritorno, facciamo memoria di questa nostra Fede, di questo grande tesoro che ci è stato gratuitamente affidato.
La nostra Fede è spesso fragile, ferita, sferzata dalle tempeste; eppure dove saremmo, chi saremmo se non avessimo incontrato il Signore? La veglia è ardua, la notte è profonda, eppure dove saremmo e chi saremmo se questo padrone non si fosse fidato di noi?
Fonte:http://www.pievescandiano.it/
