I Lettura: Gen 15,1-6; 21,1-3
II Lettura: Eb 11,8.11-12.17-19
Vangelo: Lc 2,22-40
- Testi di riferimento: Gen 18,10.14; 46,30; 49,18; Es 4,22-23; 13,2.12-15; Lv 12,6-8; Nm 3,13;
18,15-16; Gdc 13,24; 1Sam 2,21-26; 3,19; Tb 11,9; Sal 98,2; Is 8,14-15; 9,1; 11,1-2; 25,9; 42,6-7;
49,6; 52,9; 62,1-2; Os 14,9; Mt 2,22-23; Lc 1,68; 2,48.52; 12,36; 23,51; Gv 1,14; 9,39; At 13,47;
26,23; 28,22.28; 1Cor 1,23-24; 11,19; 2Cor 8,9; Gal 3,14; 4,4; Col 2,2-3; Eb 12,22-23; Gc 1,18;
2Pt 1,21; 1Gv 2,19
- Il ruolo della famiglia.
- Per entrare nella società degli uomini il Figlio di Dio passa attraverso quella cellula sociale primaria che è la famiglia. Dio fa partire la storia della salvezza con una famiglia, quella di Abramo e Sara (prima e seconda lettura) e attraverso di essa nascerà il figlio della promessa. Dio non ha bisogno
di aiuti umani; però ha voluto chiamare l’uomo e la donna, in quanto famiglia, a collaborare all’opera della salvezza. E così al compimento della storia della salvezza, iniziata con Abramo e Sara,
abbiamo un’altra famiglia in cui Dio stesso viene ad abitare. Questo atto di “inculturazione” (ma è
meglio dire “incarnazione”) è eloquente: la famiglia – che non è ovviamente un’invenzione né giudaica né cristiana – fa parte di come Dio ha concepito la vita per l’uomo sulla terra. E se c’era bisogno di una conferma, Dio stesso ne è entrato a far parte. Volendo diventare uomo, il Figlio di Dio
non poteva non diventare anche “figlio dell’uomo”, in quanto tutti gli esseri umani sono figli. Entrare a far parte di una famiglia significa accettare tutto il rischio che tale atto comporta. Il rischio di
essere impotente come un neonato, di essere esposto alla malattia e alle cattiverie altrui, di essere
condizionato nelle proprie scelte dai legami affettivi. Anche il rischio di essere considerato fuori di
testa dai propri familiari per seguire la volontà di Dio (Mc 3,21). Ma se il Figlio di Dio ha fatto questo significa che non si può bypassare la famiglia. Bypassare la famiglia, per qualsiasi fine, non è
consentito, diciamo così, nemmeno a quell’autorità suprema che si chiama Dio. Possiamo dire che
la famiglia è il canale attraverso il quale la salvezza è entrata nel mondo. E quando Gesù lascerà la
sua famiglia lo farà soltanto per dar vita ad una sua “famiglia” che risponderà al nome di Chiesa.
Nella Chiesa tutti partecipiamo dell’onore di essere collaboratori di Dio nel portare Cristo, e quindi
la salvezza, agli uomini.
- Il progetto di Dio e la fede.
- Le letture odierne sottolineano la centralità della fede nella vita della famiglia che si manifesta nel
riconoscere, accogliere e assecondare il progetto di Dio. Il “giusto”, l’uomo di fede, è colui che è
disposto a rinunciare ai propri progetti per seguire il progetto di Dio. Però i progetti di Dio non annullano i propri progetti, ma li trasfigurano, li realizzano facendoli fruttare al centuplo. Così è stato
sia per Abramo e Sara, che per Giuseppe e Maria. - Nella storia di Abramo e Sara si mostra come Dio entra nella storia di una famiglia e le dà un nuovo senso. Dio non forza la volontà di Abramo e Sara, né violenta la loro volontà. Dio parte da una
situazione di infelicità e da un preciso desiderio di felicità per dargli un contenuto molto più ampio
e vero. Dio parte dal desiderio di un figlio, per dare ad Abramo e Sara di diventare patriarchi del
popolo di Dio e di far giungere la benedizione a tutte le nazioni. Dio “visita” questa famiglia (Gen
21,1) realizzando quanto essi desideravano, ma anche molto di più; compiendo un bene per loro, ma
anche il bene di tutta l’umanità. La stessa cosa fa con Giuseppe e Maria. Essi da un lato sono disposti a rinunciare al loro progetto perché si realizzi quello di Dio. Ma Egli compie il Suo progetto senza annullare quello di Giuseppe e Maria. Dio “visita” la loro famiglia e con ciò visita e redime il suo
popolo (Lc 1,68). - Quando si rinuncia a fare la propria volontà per seguire quella di Dio, dopo Dio realizza anche le
nostre profonde aspirazioni, ma fruttificate all’ennesima potenza. “Se uno fa la volontà di Dio, dopo
Dio fa la sua volontà”. Così Abramo non solo avrà un figlio, ma una discendenza innumerevole e
attraverso di essa arriverà la benedizione a tutti i popoli. Così Maria e Giuseppe realizzano il loro
progetto di matrimonio, ma in una forma straordinariamente più grande e fruttuosa di come avrebbero potuto immaginare. Il che non risparmia la sofferenza, la prova, la tribolazione (e magari anche
qualche fallimento). Perché non si può usare la presenza di Dio come un amuleto che mi protegge
dalle sventure. Aver lasciato entrare Dio significa essere consapevoli che siamo all’interno di un
suo progetto e perciò niente è senza senso e le sventure non impediscono la realizzazione di quel
progetto; anzi, anche attraverso di esse Dio produce un frutto di salvezza. Quando Dio entra in una
famiglia, quando lo si lascia entrare (sebbene può sembrare che metta sotto sopra la nostra tranquillità) e ci si apre ai suoi progetti, compie le più grandi aspirazione della nostra natura umana che sono quelle di donare la vita per produrre vita. Nascendo nelle nostre famiglie Cristo ci permette di
collaborare con lui per la salvezza del mondo. - Nella famiglia esiste una presenza particolare di Dio, in quanto la Sua immagine si esprime in modo particolare nell’unione fra uomo e donna (Gen 1,26-27). Certo, non tutti sono disposti a riconoscere questa presenza. Per molti Dio è una presenza scomoda. Si vuole un’autonomia, una indipendenza, per gestire la realtà familiare secondo i propri progetti e i propri capricci. Si vuole gestire la
famiglia – che ha sempre un carattere inevitabilmente sociale – come fosse invece un puro fatto privato. Per questo spesso il risultato è una esperienza di “sterilità” come quella di Abramo e Sara, di
incapacità di dare pienezza al proprio matrimonio e di portare qualcosa di utile alla società. Chi è
disposto ad accogliere la presenza di Dio e a dargli fiducia sperimenterà che i Suoi progetti sono
quelli che veramente realizzano le nostre attese più profonde di felicità e che salvano gli uomini.
- Il Vangelo.
- Il compimento della legge. Per cinque volte nel brano di Vangelo odierno si nomina la “legge”,
che è allo stesso tempo quella di Mosè (v. 22) e del Signore (v. 23). Tutto ciò che fanno Giuseppe e
Maria è per adempiere la legge. È chiaro che il figlio di Dio viene educato fin dalla nascita all’obbedienza alla volontà di Dio, che per l’evangelista si manifesta nei comandamenti. All’interno della
Santa famiglia si avverte una costante presenza di Dio, data sì dal piccolo Gesù, ma anche da un
orientamento profondo di obbedienza alla volontà del Signore. La “direzione” della famiglia non è
stabilita dalla volontà di lui o di lei, da questo o quel progetto, ma dal desiderio sincero di compiere
la legge del Signore. L’humus, l’ambiente, il clima in cui si sviluppa la vita della famiglia di Nazareth è quello nella totale relazione con il padre celeste. - Primogenito maschio. Gesù viene portato al tempio e “riscattato” in quanto primogenito maschio
(v. 23). Il principio che sta dietro a questa norma è che tutto ci viene da Dio e tutto appartiene a lui
(Gen 4,1: «Ho acquisito un uomo per mezzo di Jahvè»). Il primogenito è colui che certifica la possibilità di generare. E questa possibilità viene da Dio. Nel primogenito si visibilizza il dono che Dio
mi fa di produrre la vita. L’offerta del primogenito al Signore è dunque un riconoscimento di questo
principio fondamentale. Anche Israele è il primogenito di Dio (Es 4,22) e Dio lo ha tratto dall’Egitto perché Gli offra un culto (Es 4,23); per questo tutto Israele è chiamato da Dio a diventare santo, ad essere separato dagli altri popoli per essere sua proprietà peculiare. Il senso dell’offerta dei
primogeniti sta in questa chiamata a servire Dio, ad essere un popolo sacerdotale. Essa richiama ad
Israele la sua missione di “consacrato” di Dio per il mondo. È Dio stesso che offre al mondo, all’umanità, il suo primogenito Israele perché lo faccia conoscere agli uomini. Il nuovo Israele è la
“Chiesa dei primogeniti” (Eb 12,23) che offre a Dio un culto in Spirito e verità. Ed è Dio stesso che
offre al mondo il suo primogenito Gesù. Nella presentazione al tempio di Gesù, anche se pare che
siano Giuseppe e Maria a presentare il loro primogenito per «essere santo per il Signore» (v. 23), in
realtà è Dio stesso che offre colui che dal racconto dell’annunciazione sappiamo essere suo Figlio e
che è già nato santo (Lc 1,35). Dio offre il suo primogenito al mondo perché diventi primogenito di
molti fratelli (Rm 8,29), costituendo il nuovo Israele, un popolo di sacerdoti santi che appartengono
al Signore e che lo facciano conoscere agli uomini. - L’attesa è finita. Simeone e Anna rappresentano (anche con la loro tarda età) l’attesa del Messia da
parte di Israele. Si tratta di due figure profetiche, che simboleggiano la lunga attesa, e allo stesso
tempo l’ormai giunto compimento, delle antiche promesse messianiche. Il primo aspettava la consolazione d’Israele (v. 25), cioè il compimento delle promesse salvifiche di Dio per il suo popolo. Anna, al profetessa (v. 36), si mette a parlare del bambino a quanti aspettavano la redenzione (v. 38). Il
significato è chiaro: dopo tanto tempo, dopo che le promesse di Dio sembravano anche di difficile
realizzazione, l’attesa è finita. Chi non ha dubitato della fedeltà di Dio e ha atteso con fiducia, ora
ha la gioia di contemplare il compimento delle promesse. E ciò significa che ormai non c’è nient’altro da attendere. La salvezza si è fatta presente in Gesù. Lui è il compimento pieno e definitivo
di ogni desiderio di salvezza. Ogni altra speranza è vana. Chi si attende ancora una salvezza diversa
da quella che ormai è giunta rimarrà inevitabilmente deluso. Cristo è colui che soltanto può saziare
ogni aspettativa presente nel cuore umano. Simeone può andare in pace perché ha visto lo shalom
promesso dai profeti, la salvezza, presente in questo bambino. - Il bambino cresceva (v. 40). La famiglia ha il compito di far crescere le nuove generazioni in sapienza. Non basta crescere fisiologicamente. Occorre apprendere la sapienza che è innanzitutto e
fondamentalmente la Sapienza divina. Occorre imparare l’arte del vivere, rivolti al Padre. La famiglia perciò ha il compito di trasmettere la fede. Anche Gesù si sottomette a questo apprendistato. A
dodici anni, quando diventerà “maggiorenne” nella fede, mostrerà di avere imparato la fede, cioè ad
occuparsi delle cose del Padre (Lc 2,49). - Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/
