IV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (28/01/2024)
Al centro di questo racconto di Marco c’è la Parola: e tutti nella
sinagoga affascinati e sorpresi dalla parola nuova, quella di Gesù.
Leggendo il testo mi incuriosiva il connubio o il divorzio di questi
due termini: “parola e autorità”. Perché nel nostro mondo c’è un
eccesso di parole, un’invasione di parole, un frastuono di parole,
ma che non ci fanno sussultare come davanti a qualcosa di bello e
di affascinante.
Pensate quante persone erano entrate, durante gli anni, di sabato, nella sinagoga di Cafarnao. E
ogni sabato qualcuno si alzava, prendeva il rotolo, lo apriva, leggeva e insegnava. Ma in quel
sabato accade una cosa diversa: “erano stupiti perché Gesù insegnava loro come uno che ha
autorità e non come gli scribi”. Eppure gli scribi erano l’autorità. Avevano il “ruolo” dell’autorità,
ma il loro insegnamento non stupiva nessuno. Erano fermi e incatenati alle leggi,
all’interpretazione delle leggi, all’enunciazione delle leggi. Dicevano parole vecchie, logore, noiose,
che non mettevano in moto nessuno.
Parole da cui salvarsi o parole che salvano? Questo è il problema. L’insegnamento di Gesù non è
un discorso, ma una Parola/evento che libera l’uomo dal male che lo abita come accade con lo
“spirito impuro” che possiede l’uomo nella sinagoga. Possiamo dire che Gesù “insegna” in quanto
è la Parola di Dio che fa quello che dice, “comanda e gli spiriti obbediscono”. Gesù è venuto a
proclamare il vangelo della liberazione dell’uomo (Luca Lc 4,16-21). Era il suo programma di vita
Parole dette dall’autorità o parole che hanno dentro l’autorità? Autorità nel senso del verbo latino
“augère”, aumentare, espandere, promuovere, capaci di aprire e avviare percorsi nuovi, di
suscitare energie nuove, nuove possibilità. Pensate come spesso abbiamo appiattito l’immagine
dell’ autorità nel compito del contenere, del frenare, del mettere steccati, del dire e ripetere il
codice, le cose di sempre. Parole stanche, slavate, senza sussulti, parole morte, parole incartate e
non parole incarnate.
E come si potrebbe fremere o stupirsi davanti a parole senza brividi di profezia. Elenchi di cose.
Parole da cui salvarsi perché le parole non salvano. Nelle parole di Gesù c’era il brivido della
profezia, la passione del profeta. I profeti non sono aridi o lontani elencatori di leggi. Sono dentro
il cammino di un popolo, dentro la storia degli uomini del loro tempo. Le parole dei profeti non
sono parole che battono l’aria, sono parole accompagnate da un cammino.
Per questo il libro del Deuteronomio chiama Mosè profeta: Mosè era cammino. I suoi occhi erano
occhi rossi di sabbia del deserto, di fuoco e di fatica. Parole con autorità. parole che aprivano piste
nuove, che suscitavano, che sostenevano un cammino, parole che liberavano.
Così Gesù. La meraviglia della gente era per quella sua parola, una semplice parola, una sola,
libertà. “Taci, esci da quell’uomo”. La gente, quella gente, aveva passato anni a sentire parole
dopo le quali non accadeva niente, ed ecco la sorpresa di Gesù e di quelle sue parole che
accadono: “comanda agli spiriti immondi e gli ubbidiscono”. Parole che non si perdono nell’aria ma
accade la liberazione. Quando la parola è profezia, quando è parola di Dio, accade sempre la
libertà.
Il tumulto delle parole di coloro che parlano e straparlano hanno un intento preciso, quello di
trattarci come un gregge. E gridano e gridano e gesticolano, come il demonio del vangelo. E Gesù
lo zittisce: “Taci”. Zittisce quelli che gridano intorno. E nel silenzio restituisce la dignità, e dona un
cuore nuovo di uomo. Beati noi se ascoltiamo la sua parola.
