II Domenica di Quaresima (Anno B) (25/02/2024)
In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li condusse su un alto monte, in disparte, loro soli. Fu trasfigurato davanti a loro e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche. E apparve loro Elia con Mosè e conversavano con Gesù. Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Non sapeva infatti che cosa dire, perché erano spaventati. Venne una nube che li coprì con la sua ombra e dalla nube uscì una voce: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». E improvvisamente, guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo, con loro. Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti. Ed essi tennero fra loro la cosa, chiedendosi che cosa volesse dire risorgere dai morti.
In questa seconda domenica di quaresima, rispetto aduna settimana fa, cambia la localizzazione geografica che ci presenta il brano del vangelo: dall’austerità, dalla solitudine, dalla durezza e dalla inospitalità del deserto, dove Gesù affronta la prova della tentazione da parte di colui che divide, che cerca di interrompere la sua relazione filiale con il Padre, si passa alla montagna luogo privilegiato di incontro con il Signore come attestano le numerose teofanie del primo testamento. L’evangelista Marco pone questa scena in un momento delicato per gli apostoli. Non molto tempo prima Gesù aveva detto loro apertamente: «Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà» (Mc 8, 34-35). All’entusiasmo iniziale e allo stupore che i discepoli avevano mostrato per avere incontrato un maestro cosi straordinario comincia a serpeggiare in alcuni di loro un po’ di comprensibile sconcerto e di timore. Per questo, adesso, Gesù vuole alimentare la loro speranza, manifestandosi nella gloria a Pietro, Giacomo e Giovanni, che il Vangelo descrive come i più facinorosi, chiamandoli figli del tuono. Sale su un alto monte, accompagnato da questi tre discepoli, gli stessi che saranno con lui nel Getsemani per stargli più vicino, mentre gli altri erano più distanti dal luogo in cui egli pregava durante l’ agonia.
Le due scene, quella dello splendore glorioso e quella dell’angosciosa sofferenza nella quale Pietro, Giacomo e Giovanni gli stanno vicino, sono in contrasto tra di loro, però, rimangono inseparabilmente unite. Non c’è gloria senza la croce. Elia e Mosè, cioè i profeti e la legge , che avevano contemplato la gloria di Dio e ricevuto la rivelazione rispettivamente sul monte Nebo e sul Sinai sono presenti assieme a Gesù su questo alto monte e contemplano la sua gloria e parlano con colui che è la rivelazione di Dio in persona. Pietro non riesce a contenere la sua gioia ed esclama: «Rabbì, è bello per noi essere qui; facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». La sua richiesta esprime il desiderio del cuore umano di restare sempre in contemplazione gioiosa della gloria di Dio, perchè siamo stati chiamati proprio a questo, a essere felici in relazione con lui. Dalla nuvola luminosa che avvolge questa scena si sentono alcune significative parole: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!» L’espressione “mio Figlio, l’Amato”, richiama quella pronunciata nell’episodio del battesimo al Giordano da Giovanni Battista e attesta che il progetto della salvezza, che il Padre ha pensato fin dall’origine del mondo per ogni uomo, in Gesù suo figlio incarnato, che ha assunto la nostra umanità, si è pienamente realizzato . Quel maestro che affascina le folle e compie grandi prodigi è veramente il messia atteso e promesso da tutte le scritture, sta a noi e alla nostra libertà fidarci di lui e metterci in ascolto.
Ed infine, per comprendere la reazione di Pietro , che stordito dalla bellezza di questa esperienza, chiede di poterla, dal suo punto di vista , giustamente, prolungare ascoltiamo la parola di papa Francesco che commentando questo episodio della Trasfigurazione afferma “ vorrei cogliere due elementi significativi,, che sintetizzo in due parole: salita e discesa. Noi abbiamo bisogno di andare in disparte, di salire sulla montagna in uno spazio di silenzio, per trovare noi stessi e percepire meglio la voce del Signore. Questo facciamo nella preghiera. Ma non possiamo rimanere lì! L’incontro con Dio nella preghiera ci spinge nuovamente a “scendere dalla montagna” e ritornare in basso, nella pianura, dove incontriamo tanti fratelli appesantiti da fatiche, malattie, ingiustizie, ignoranze, povertà materiale e spirituale. A questi nostri fratelli che sono in difficoltà, siamo chiamati a portare i frutti dell’esperienza che abbiamo fatto con Dio, condividendo la grazia ricevuta ”
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