Don Paolo Zamengo”Cercare Dio nella notte”

Commento IV Domenica di Quaresima (Anno B) Laetare Vangelo Gv 3,14-21

Le parole di oggi sono dette da Gesù a
Nicodemo ma le mie sono rivolte soltanto a
noi. Nicodemo conosceva e osservava la legge.
Gesù lo invitata a sconfinare, come fa il vento.
Lo aveva chiamato a rinascere a qualcosa di
più importante e di più vivo della legge. La
legge giudica e condanna.

“Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo figlio unigenito, perché chiunque crede,  in lui non
vada perduto, ma abbia la vita eterna.  Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per
condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui”.
Un Dio che ama e dà suo figlio. Con il rischio che corre sulla terra un figlio che gli assomiglia, che
mette casa fra noi e ama con la stessa passione del Padre, e quindi rischiando la vita per mano di
coloro che non amano il mondo, ma amano i loro interessi e le loro posizioni di potere.
Ha tanto amato “il mondo”. Forse Nicodemo arrivava a riconoscere che Dio aveva amato il suo
popolo. Ma qui l’evangelista dice: “Il mondo”. Dio ha amato il mondo. E ci siamo dentro tutti,
tutto…il mondo!. Ci sei tu, ci sono io e noi, ci sono tutti, quelli di ieri, quelli di oggi e di domani. Il
mondo!
Proviamo a rileggere il libro della Genesi che racconta le origini.  Mi colpisce e mi commuove
l’immagine di Dio che si prende cura e affida alle nostro cure il mondo. Perché amare non è un
mucchietto di parole, è prendersi cura che nel racconto si traduce in sette verbi, in sette azioni:
plasmò, soffiò, piantò, collocò, fece germogliare, prese, pose. E mi commuove Dio che soffia il suo
alito di vita e la polvere del suolo diventa un essere vivente.
Il suo modo di amare è di prendersi cura di noi, il nostro modo di amare  è di prenderci cura di
noi. Il giardino che ci viene affidato, che viene affidato alle nostre cure non è come a volte
pensiamo un giardino divino, ma è la terra, la nostra terra, la nostra storia affidata al nostro
coltivare e al nostro custodire. Ne abbiamo la responsabilità. Compito che ci viene affidato ogni
mattina al nostro risveglio: coltiva e custodisci.
Metti tutta la tua intelligenza, il tuo amore, la tua passione  per questa terra, per questa storia, per
questo pezzo di storia e di umanità che tocca a te, metti  in campo tutta la tua passione. E ricorda
il divieto, espresso nell’ordine di  non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male,
che dice no alla pretesa di essere onnipotenti.  Divieto che non ci chiede di rinunciare alla nostra
intelligenza ma è un altolà a crederci Dio, padroni e arroganti.
Perché questo sarebbe l’anticamera della morte, lo sfascio della terra, che qualche volta ci sembra
con tristezza di intravvedere. La terra, la vita non ci è stata data per violentarla o per depredarla. ci
è stata affidata per coltivarla e custodirla. Ognuno di noi ha la vocazione del contadino e del
custode.