III Domenica di Pasqua (Anno B) (14/04/2024) Liturgia: At 3, 13-15.17-19; Sal 4; 1Gv 2, 1-5; Lc 24, 35-48
Una lettura attenta ai particolari del brano di Luca può
lasciare in noi una certa sorpresa: la sorpresa della
gradualità. Come è lento il cammino della fede! Come fatica
ad attestarsi nel cuore dei discepoli la convinzione che Gesù
è risorto. Noi siamo uomini e donne dell’immediato, della
fretta, noi siamo decisionisti anche della fede, e ci
spazientiamo.
Ma come? Hanno appena finito di dire che Gesù è apparso a Simone, e arrivano due loro amici a
dire di averlo riconosciuto nella locanda a Emmaus, e qual è la loro reazione? “Stupiti e spaventati,
credete di vedere un fantasma”? Lo avete sentito dire: “Pace a voi” e ancora sorgono dubbi nel
vostro cuore. Vi ha detto: “Toccatemi e guardate”, vi ha mostrato le mani e i piedi, ma di voi è
scritto: “…per la grande gioia ancora non credevano ed erano stupefatti”. Noi avremmo perso la
calma, Gesù no! Gesù conosce la gradualità degli itinerari della fede e del cuore.
Dalla nostra impazienza religiosa nascono convinzioni fragili, costruzioni su fondamenta di sabbia.
Ma noi, oggi, possiamo soffermarci sulle strade della fede, sulle vie che, secondo Gesù, portano
dalla sensazione di avere davanti un fantasma, “credevano di vedere un fantasma”, alla percezione
intensa di avere invece un compagno di strada, vivo, fino a condurci alla fede che ti fa dire: “è
vivo”.
Sembra di leggere nel vangelo di oggi tre percorsi, gli itinerari di Gesù per la fede. Il primo è nel
suo invito: “Toccatemi e guardate”. Sono verbi che abbiamo cancellato dall’esperienza religiosa,
ridotta, quasi esclusivamente, nel territorio delle nozioni, con un approdo fondamentalmente
razionalistico. Percorsi in cui entra la testa, ma non entrano le mani, “toccatemi”, non entrano gli
occhi, “guardate”. Mentre la fede nel Signore risorto è scoperta anche per le mani, è scoperta
anche per gli occhi, e fa vibrare anche il cuore.
È vero che “toccare e guardare”, secondo il racconto, non bastano a disperdere i dubbi, ma
andiamo piano a censurare ogni “guardare e toccare”. Saremo noi più sapienti del Signore Gesù,
che diceva: “Toccate, guardate”? Forse ci rimane un interrogativo: in che modo oggi tocchiamo il
Signore risorto? Forse non diciamo più “toccate e guardate”, perché siamo diventati incapaci di
leggere i segni della risurrezione, nella nostra storia, negli uomini e nelle donne del nostro tempo
Il secondo itinerario è nelle parole: “Avete qui qualcosa da mangiare? E mangiò davanti a loro”.
L’esperienza di fede nasce anche dal mangiare e non solo dal digiuno: dal mangiare davanti al
Signore. Gesù aveva legato continuamente la sua immagine al banchetto. Il banchetto come
segno di amicizia. Gesù non mangia per conto suo, separato dai discepoli. Sarebbe uno
stravolgere, un impoverimento. Gesù banchetta con noi, nel gesto della confidenza, dell’amicizia,
della donazione. Il gesto della confidenza, dell’amicizia e della donazione è il segno che Gesù è
vivo.
E da ultimo: “Aprì loro la mente a comprendere le Scritture”. Che peccato che per tanti secoli il
libro delle Scritture sia rimasto un chiuso. Come ai discepoli di Emmaus, capiterà anche a noi di
sentire ardere il cuore, di sentire Cristo vivo, vivo in cammino con noi, sulle strade del mondo. È
scritto che dopo aver spezzato il pane, proprio quando gli occhi dei due discepoli si aprirono e lo
riconobbero, “sparì dalla loro vista”. Eppure bastarono le parole lungo la strada e il pane spezzato
per rimetterli in cammino: non più per una fuga dalla città, ma per un coraggioso rientro.
La strada è ancora buia, ma c’è una luce dentro, quasi una lampada nella notte. Il Signore tenga
accesa questa luce in noi discepoli di oggi.
