Don Paolo Zamengo”Un nome nuovo per Gesù”

IV Domenica di Pasqua (Anno B)  (21/04/2024) Liturgia: Atti 2,14-36-41; 1Pietro 2,20-25; Giovanni 10,1-10

E così Gesù si dà un nome nuovo. “Io sono il buon pastore”.
Gli era caro forse dal giorno in cui gli raccontarono di quella
notte in cui era nato e i primi a fargli visita erano stati i pastori
bucando a lume di lanterne il buio della notte. Poi imparò a
dare il nome di pastore a Dio, quando suo padre e sua madre
gli raccontavano le Scritture. E lui a sgranare gli occhi: “Come un pastore egli fa pascolare il gregge e con il suo braccio lo raduna; porta gli agnellini sul petto e conduce dolcemente le pecore madri” (Is 40,11).
Gesù conobbe i pastori davvero, vide greggi migrare, vide pascoli e recinti e scoprì, una sorta di complicità tra gregge e pastore. Per Gesù è la complicità a fare la differenza. Lui il nome di pastore buono se lo diede con limpidezza e forza in un serrato dibattito con alcuni farisei scandalizzati perché aveva fatto del fango, in giorno di sabato, per dare luce agli occhi di uno che gli occhi li aveva bui dalla nascita.
Ma che pastori siete?, sembrava dire, fate carte false per farvi passare come pastori. Proprio voi non sapete che cosa vuol dire prendersi cura delle pecore. Voi non passate dalla porta del recinto, ma vi entrate di soppiatto, come ladri e briganti. Non vi importa delle pecore, vi importa tosarle.
Siete dei mercenari: per voi le pecore sono merce da sfruttare. Voi le pecore le tenete in un recinto soffocante fatto di leggi e precetti. Io come pastore buono entro nel recinto, il Padre mio me lo comanda e le pecore le porto fuori, le conduco a pascoli di grande respiro, do la vita per loro.
E si rincorrono parole bellissime che raccontano la complicità, parole su cui sempre dovremmo sostare, perché il compito di essere pastori, di essere degli appassionati della cura, non è un’esclusiva di nessuno. Nella vita siamo chiamati tutti, in qualche misura e in modalità diverse, a prenderci cura degli altri, delle situazioni della vita e della terra. Ad essere nel quotidiano pastori belli della bellezza del pastore Gesù. Uno stile, che non è solo stile.
Le parole di Gesù pastore sono tenerissime, giungono al punto di sfiorare i sentimenti che fanno nido nel cuore. Il pastore ‘conosce’ le pecore e le chiama per nome’. Il verbo conoscere nella lingua di Gesù racconta una relazione che si affaccia a una intimità, là dove uno vive per l’altro. Il pastore chiama per nome e le pecore che, tra mille, riconoscono la sua voce. Per Gesù, tu non sei una massa indistinta, uniforme, un numero in un algoritmo. Sei tu, e ti chiama con il tuo nome.
Questo è il miracolo di Dio e mi emoziona solo il pensarlo: ti senti riconosciuto in una immensità.
E’ il brivido che a volte mi sfiora, quando mi accade di contemplare le stelle: fiorirà questa notte il cielo e sarà un prato. E tu, Dio, a chiamarle per nome, ad una ad una, in una intimità inviolata.
Essere pastori è uscire dalla tristezza dell’anonimato: vivere la bellezza del nostro nome.
Essere pastori al modo di Gesù significa anche uscire da una logica che troppo ha dominato e non è ancora superata: la logica della autoreferenzialità. La logica di coloro che fanno riferimento solo a sé stessi e la pretendono dagli altri. Per questo da pastori diventano padroni ai quali non importa le pecore, ma solo sé stessi.
Una logica che ha un nome, ‘clericalismo’, contro cui sta combattendo papa Francesco. Il ‘dominio’, che è il contrario della corresponsabilità, del condividere con altri la cura e le scelte. E in questo orizzonte mi sembra affascinante e, insieme, limpido, il messaggio del brano degli Atti degli apostoli. Come ogni comunità, anche quella delle origini non è al riparo dalla complessità dei problemi. E’ scritto: “In quei giorni, aumentando il numero dei discepoli, quelli di lingua greca mormorarono contro quelli di lingua ebraica perché, nell’assistenza quotidiana, venivano trascurate le loro vedove”. Che fare? Innanzitutto si ascoltano le voci, si dà importanza a una sensazione diffusa. Si avverte la necessità di un cambiamento, un bisogno di collaborazione nel campo dell’assistenza.
Poi non si fa avanti uno a decidere per tutti; e non è nemmeno il gruppo degli apostoli a decidere. I nomi di coloro che collaboreranno nel servizio alle mense, i primi sette diaconi, devono venire da una proposta che scaturisce dalla comunità. Sentite: “Fratelli, cercate fra voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di sapienza, ai quali affideremo questo incarico. Piacque questa proposta, ne scelsero sette. Su di loro imposero le mani”.
Questa è la strada: attingere idee da tutti, scegliere con tutti. Così anche in questa nostra stagione, carica di nuovi problemi. Essere pastori delle idee: tirarle fuori dai piccoli recinti, dove manca l’aria, la prospettiva, l’orizzonte. Spesso sono le idee senza spessore, senza fantasia, che creano un mondo disumano. Pensare da pastori e non da mercenari è pensare avendo sempre davanti gli occhi gli occhi degli altri.