XI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (16/06/2024)Liturgia: Ez 17, 22-24; Sal 91; 2Cor 5, 6-10; Mc 4, 26-34
Ricordo che proprio all’inizio del mio cammino di religioso un anziano confratello mi disse che, quando si inizia un’esperienza simile, “si sa come si inizia e non si sa mai come va a finire”. Prendendo il lato positivo della battuta si può senz’altro dire che il Signore non finirà mai di sorprendere coloro che si decidono sinceramente per lui. Abbracciare il regno di Dio, accogliere la vita secondo il vangelo, così come Gesù la propone, riserva sempre, fino alla fine, degli sviluppi sorprendenti. Non solo sorprendenti, ma anche sorprendentemente belli.
Vivere alla presenza del Signore significa accogliere un principio di vita nuova che si innesta nella propria, e che potrebbe portare a fare la stessa constatazione di San Paolo: “non sono più io che vivo ma Cristo vive in me”. Ciò che succede nel cuore dell’uomo quando accoglie la grazia di Cristo è paragonato allo sviluppo esponenziale di un piccolo granello di senape, Il problema è di accoglierlo, di osare la scommessa – come avrebbe detto Pascal – del fidarsi del Signore, il quale opererà meraviglie straordinarie, pur nell’ordinarietà dell’esperienza vissuta.
Esattamente quello che avvenne alla stessa comunità cristiana: da un piccolo gruppi di discepoli di medio bassa cultura ad una quantità impressionante di uomini che hanno esteso i rami della propria comunione in tutti i 5 continenti della terra. Come potrebbe essere attribuibile alla capacità umana? Come potrebbe reggersi una simile comunità lungo 2 mila anni di storia, considerato anche le testimonianze non sempre cristalline dei suoi membri? No. Evidentemente il regno di Dio ha in sé una forza strepitosa.
Resta da ribadire quello che Gesù dice nella parabola immediatamente precedente a queste due, e che per certi versi è complementare: quella della semina caduta sui diversi tipi di terreno. Ovvio che il Regno di Dio predicato e inaugurato da Gesù ha una forza divina, ma dovrà trovare un’umanità accogliente e disponibile alla scommessa della fede. Non un terreno superficiale, né con scarsa profondità, e neppure infestato dalle soffocanti spine delle preoccupazioni del mondo. Alla fine, si tratterà sempre di un incontro tra il divino e il “si” dell’uomo!
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