XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (07/07/2024)
Nel Vangelo di questa domenica Marco ci porta a Nazaret, patria di Gesù.
Da qui partirono Maria e Giuseppe per il censimento a Betlemme. Qui tornarono dopo gli anni di fuga in Egitto. Qui crebbe l’uomo falegname Gesù. Solo Maria conosceva la verità del suo concepimento e solo Giuseppe aveva creduto a questa verità.
Nazaret invece, sapeva solo che Gesù era figlio di un falegname e di Maria, fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone. La patria, luogo che sa da dove veniamo, è il luogo nel quale le nostre fragilità vengono maggiormente esposte allo sguardo degli altri; nel quale è e sarà più difficile nasconderle; nel quale, di conseguenza, il nostro cuore è più indifeso ed esposto al dolore; luogo che più di altri ha il potere di ferirci e nel quale più abbiamo il potere di ferire.
Chi ha visto crescere Gesù è convinto di conoscerlo e ha già disegnato su di Lui un’immagine dai contorni netti. “Non è costui il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle, non stanno qui da noi?”
Arroganza! Perché Gesù, come del resto ciascuno di noi, ha il diritto di realizzare il progetto di uomo, di figlio di Dio, che è iscritto nel suo cuore, e che deve imporsi sullo stigma che gli è stato attribuito, lottando per la sua realizzazione.
“Chi ti credi di essere?” “Credi di essere meglio di noi?” “Sappiamo bene chi sei!?” “Che diritto hai di giudicare quello che facciamo o desideriamo?” “Che diritto hai di imporre i tuoi principi i tuoi valori?” “Che diritto hai di sentirti più saggio di noi?”
Ed era per loro motivo di scandalo…
Vi è mai successo di desiderare ardentemente il dialogo, magari proprio in famiglia, e di trovare un muro? A Gesù sì. Ad alcuni di noi, sì.
A noi si può ben rimproverare: “chi credi di essere?” Ma a Gesù!
Eppure le domande che sorgono tra i presenti in sinagoga sono domande importanti:
«Da dove gli vengono queste cose? E che sapienza è quella che gli è stata data? E i prodigi come quelli compiuti dalle sue mani?…
La sinagoga, ai tempi di Gesù, era il luogo nel quale l’assemblea degli uomini si riuniva per leggere i rotoli della Legge e dei Profeti, per ascoltare gli insegnamenti dei maestri e crescere alla luce della Parola. Secondo un metodo antichissimo, il maestro commentava la parola aggiungendo dettagli non presenti nei rotoli, provando così a leggerla attraverso i suoi personaggi. In questo si manifestava la sapienza: nella capacità di leggere nel cuore della Parola.
Gesù era solito parlare in parabole, riflettendo come in uno specchio la vita quotidiana, calando la Parola nella vita di ciascuno; era anche solito insegnare e guarire in sinagoga, generando stupore nell’assemblea.
L’assemblea comprende che la sua Sapienza non è quella dei maestri della Legge, che ha un’origine diversa: non gli viene dallo studio, dalla sensibilità, dall’intelligenza… C’è in Gesù una sorgente originaria: è lui stesso la sorgente. Ma questa sapienza è per loro motivo di scandalo, di turbamento, perché manifesta un modo diverso di rapportarsi con Dio e che per parlare di Dio è necessario essere in relazione con Lui.
Sapienza infatti non è nozionismo; è disposizione del cuore a leggere la Verità. Lo studio, la capacità oratoria, il carisma danno forma, ma non contenuto, alla Sapienza. La Sapienza di Gesù sovverte il modo con cui ci si rapporta con la Parola, con Dio. Mette in discussione la capacità dei maestri di comprendere la Parola divina; insinua la loro inadeguatezza… e ciò rischia di minare la fiducia nei maestri.
Quante volte abbiamo bisogno anche noi di sentirci autorevoli? Non è forse un modo per essere visti, là dove essere visti è un bisogno vitale, perché il neonato non visto muore di fame? Non è una colpa sentire il bisogno di sopravvivere! Eppure, se l’autorità ci permette forse di sopravvivere, l’autorevolezza di Gesù è fonte di vita piena, di vita zampillante, di vita che fiorisce; è fonte di gioia.
Gesù è autorevole e la sua parola è profezia. Lo dice lui stesso: «Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua». Profeta non è colui che indovina il futuro, non è un astrologo. Non è nemmeno colui che ha pensieri propri affascinanti o spaventosi da condividere. Non è un moralista o un attivista.
È colui che sa leggere il presente alla luce della salvezza che, in potenza, è già in noi. È colui che apre alla vita da salvati, là dove il solo modo per vivere da salvati è credere di essere stati da sempre pensati, desiderati, amati dal Signore Dio Padre nostro. È colui che non può tacere perché sente che la sua vita è inscindibilmente legata con lacci d’amore al Padre. Gesù profeta in patria tenta di aprire una breccia nel cuore dei suoi fratelli. Ma un muro si erge contro di lui.
La nostra fede ci insegna che siamo tutti profeti in forza del nostro battesimo. Innestati in Cristo sacerdote, profeta e re, siamo partecipi della sua vita e della sua missione. E come profeti siamo chiamati ad annunciare il Vangelo, portando Cristo nel mondo, predicando anzitutto con la testimonianza. A volte la parola parlata è lo strumento meno opportuno; di fronte ad un cuore chiuso non ha modo di entrare.
Gesù lo sa. E nei versetti poco più avanti dirà ai suoi discepoli che invia a predicare: «Dovunque entriate in una casa, rimanetevi finché non sarete partiti di lì. Se in qualche luogo non vi accogliessero e non vi ascoltassero, andatevene e scuotete la polvere sotto i vostri piedi come testimonianza per loro» (Mt 6,7-13).
Scuotere la polvere dalle scarpe è scuotere ogni rancore per la ferita provocata dalla porta che ci è stata chiusa in faccia. È non covare rancore.
Fanno male le porte chiuse. Il Padre è stato il primo a farne esperienza, nel momento in cui ha donato all’uomo la libertà. Esortandolo a non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male ne ha ricevuto solo disobbedienza. E la disobbedienza ha prodotto dolore e morte, solitudine e paura.
Il Figlio ha fatto la stessa esperienza: piagato, udiva la folla che urlava a Pilato contro di lui: “Crocifiggilo”.
Ma le porte aperte non sono il solo modo per entrare; per essere coerenti con la Parola di Salvezza occorre amarla: Amate, amate sempre! Il Padre non ha mai smesso di amarci, il Figlio non ha mai fatto passi indietro. Lo Spirito non ha mai smesso di inondare il cuore dell’uomo, nemmeno dopo la violenza disumana della crocifissione.
Cosa ne sarebbe stato di noi se non avessero scosso la polvere dalle loro scarpe? Se, di fronte al nostro rifiuto, ci avessero abbandonati al nostro destino di morte? Mostriamo al mondo una via nuova, con l’esempio. Camminiamo sulla via di luce che conduce alla salvezza.
Il mondo ha il diritto di ricevere la nostra testimonianza, anche se il suo cuore è chiuso. Non possiamo privare i fratelli della luce del Vangelo. Se non ascoltano, non si tratta di usare le parole, ma di offrire al loro sguardo un’alternativa di luce.
“Ascoltino o non ascoltino, sapranno almeno che un profeta si trova in mezzo a loro». (Ezechiele 2,5)
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/
