Don Paolo Zamengo”La solitudine del profeta”

XIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (07/07/2024)

Vangelo: Mc 6,1-6

La sua fama si era diffusa ben oltre la Galilea e aveva raggiunto persino
Gerusalemme. Per questo in molti sono accorsi ad ascoltarlo. Tutti i
presenti, lo conoscano bene e sono stupiti delle parole che escono dalla sua
bocca. Ma si pongono anche una domanda giusta, quella che dovrebbe
aprire alla fede: “Da dove gli vengono queste cose?”. 
Se avessero ricordato le parole rivolte a Mosè: “Il Signore tuo Dio susciterà
per te, in mezzo a te, fra i tuoi fratelli un profeta pari a me, a lui darete
ascolto” (Dt 18 15), avrebbero accolto non solo le parole ma Gesù stesso
come inviato di Dio. Purtroppo, gli abitanti di Nazareth si bloccano davanti alla sua presenza: non è
come che si immaginavano un inviato di Dio. Pensano che un profeta debba avere i tratti della
straordinarietà, del prodigioso, e che possedesse forza e potenza umana. 
Gesù, invece, si presenta come un uomo semplice. La famiglia di Gesù è davvero normale, del
tutto normale. Non sembra godere di particolare stima da parte dei cittadini di Nazareth. Gli
riconoscono certamente la sapienza e una rilevante capacità taumaturgica, ma la vera questione è
che essi non possono accettare che egli parli con autorità della loro vita e dei loro comportamenti.
Non riescono a sopportare che un uomo come lui, che tutti conoscevano, potesse avere autorità
su di loro, che pretendesse in nome di Dio un cambiamento, una conversione della loro vita e del
loro cuore.
Ma sanno ancora che questo è lo scandalo dell’incarnazione. Dio agisce attraverso l’uomo, con
tutta la pochezza e la debolezza della sua carne. Dio non si serve di gente fuori dal comune, ma di
persone umili; non si presenta con prodigi bensì con la semplice parola del Vangelo e con i gesti
concreti della carità. Il Vangelo predicato e la carità vissuta sono i segni ordinari della straordinaria
presenza di Dio nella storia. L’apostolo Paolo dirà: “I Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la
sapienza, noi predichiamo Cristo crocifisso.”
Gesù ne fa esperienza diretta. E con amarezza dice: “Un profeta non è disprezzato che nella sua
patria”. Gli uomini di Dio, i profeti, lo sanno bene. “Me infelice! Madre mia che mi hai partorito
oggetto di litigio e di contrasto per tutto il paese”, grida Geremia (15, 10). Ed Ezechiele, lo
leggiamo nella prima lettura, si sentì preannunciare: “Io ti mando dagli Israeliti, a un popolo di
ribelli (…)”.
Anch’essi, come Gesù, debbono spesso constatare il fallimento della loro parola. Tuttavia, il
Signore aggiunge: “Ascoltino o non ascoltino, perché sono una genia di ribelli, sapranno almeno
che un profeta si trova in mezzo a loro”. Dio è fedele, sempre. La Parola non tace e chi la accoglie e
la mette in pratica salva la sua vita. 
Chi si comporta come gli abitanti di Nazareth, chi non accetta la parola di Gesù nella sua vita
impedisce di fatto al Signore di operare. Sta scritto che a Nazareth Gesù non poté operare
miracoli; non perché non volle, ma perché “non poté”. I suoi concittadini volevano miracoli, ma
non avevano capito che i miracoli non erano al servizio della fama. Il miracolo è la risposta di Dio a
colui che tende la mano e chiede aiuto. Nessuno di loro tese la mano, tutti avanzavano pretese.
Non incontrano il Signore. 
Stare davanti a Dio con un atteggiamento di presunzione anziché di richiesta di aiuto, significa
mettersi fuori dalla sua compassione e dalla misericordia. Dio non ascolta l’orgoglio, ma volge il
suo sguardo sull’umile e sul povero, sul malato e sul bisognoso. 

Beati noi se ci mettiamo accanto a quei malati che stavano fuori dalla sinagoga e chiedevano aiuto
a Gesù profeta che passava per le strade di Nazaret.