Don Paolo Zamengo”Il pastore ha occhi e cuore”

XVI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (21/07/2024)

Vangelo: Mc 6,30-34

Ai tempi di Geremia non mancavano pastori, capi, re, giudici,
sacerdoti. Ma il loro era un titolo usurpato, avevano il ruolo ma
non avevano l’anima del pastore. E si meritano il monito
durissimo di Dio: “Guai ai pastori che fanno perire e
disperdono il gregge del mio pascolo”.

Anche ai tempi di Gesù non mancavano pastori. Ma quando, dopo la traversata del lago, Gesù sbarca sulla
terra ferma, è preso da un sussulto del cuore, un sussulto di commozione: “Sbarcando, vide molta folla e si
commosse per loro, perché erano come pecore senza pastore”. Perché ogni pecora vale un tesoro.
Il piccolo brano del Vangelo di oggi ci fa contemplare, oserei dire con emozione, la tenerezza di Gesù, il suo
sguardo che coglie la stanchezza, gli smarrimenti, la fatica di vivere!
Il pastore lo vedi da come ti guarda, dalla sua commozione. Gliela leggi negli occhi: “Si commosse per loro”.
“Si commosse”. È il verbo del padre che attende il figlio perduto, è il verbo del samaritano che, al contrario
del sacerdote e del levita, si ferma davanti all’uomo ferito e lo cura.
Dunque “il come guardiamo”, viene prima di “che cosa diciamo”. E forse va anche in questo senso l’invito
di Gesù ai suoi apostoli: “Gli apostoli” è scritto “si riunirono intorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che
avevano fatto e insegnato”. È come se si sentissero loro i protagonisti, quasi presi dalla frenesia del fare e
del dire… tanto che “non avevano neanche più il tempo di mangiare”.
E può sembrare strano che Gesù non faccia commenti a questa foga degli Apostoli che gli fanno relazione
dei loro successi apostolici. L’unico commento è: “Venite in disparte, in un luogo solitario e riposatevi un
po’”. Aveva letto certamente negli apostoli una stanchezza “riposatevi” ma forse aveva letto anche un
pericolo, sempre in agguato, che si lasciassero prendere dal ruolo, il pericolo di un attivismo, dove si ha
cura di quello che si dice e si fa e si dimentica il cuore. Non ci si preoccupa del “come si guarda”.
Lo avvertiamo anche noi questo pericolo: quello di un attivismo che manca però di profondità. È Gesù
invita a una sosta che non è una fuga, non è un’evasione dai problemi, ma è riprendere contatto con la
parte più profonda di noi stessi, il luogo solitario, in cui ascoltare la voce del vero pastore, che è lui, Gesù.
È con Lui che trova riposo il cuore. Non basta cambiare luogo per riposare, se poi i luoghi, pur diversi,
vengono comunque contagiati dalla stessa ossessione delle cose da fare. Non basta, perché il bisogno che
noi sentiamo è quello di ricuperare uno sguardo diverso della realtà, uno sguardo più profondo, lo sguardo
di Gesù, lo sguardo che prova compassione.
Compassione: mosso è il cuore, non solo la mente, non solo le mani. A volte ho come l’impressione che
l’eccesso di protagonismo anche ecclesiastico, questa frenesia a volte incontenibile, questa corsa alla
programmazione, alla pianificazione pastorale, alle tappe dettagliate…. ci stia portando a una sorta di
cinismo dell’organizzazione perfetta. Come se tutto dipendesse da noi o dalle nostre capacità dai nostri
calcoli.
Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre ma nell’avere nuovi occhi (Marcel Proust).
Come è evangelicamente importante una sosta per ritrovare lo sguardo, lo sguardo di Gesù che si
commuove.