Assunzione della Beata Vergine Maria
Il vangelo della grande festa dell’Assunzione di
Maria al cielo, quest’anno, ci fa ripartire
dall’inizio. Maria esce dalla sua casa e inizia il
viaggio, metafora di tutti i viaggi dell’anima e
della vita.
Quando apri la tua vita a Dio allora non devi più
avere dimora fissa. La partenza “in fretta” rivela il
suo coraggio e la volontà di seguire l’avventura della sua vocazione, di lasciarsi portare dal futuro.
Maria non si organizza per rispondere ai suoi bisogni ma per mostrare che il bisogno
fondamentale della vita è che non si può vivere senza mistero. Che non si vive di solo pane ma
anche delle parole di un angelo. Che il segreto della vita è oltre noi.
Come è bella la libertà di Maria. Libera di partire in fretta, di non lasciarsi condizionare da niente.
Libera come un passero nel cielo, come un giglio del campo che riceve il polline quando soffia il
vento. Così è ogni vita, non un libro già scritto ma un progetto da costruire. Così la fede, la Chiesa,
Dio stesso: sono campi aperti. Questo ci consegna una ragazza in viaggio sui monti di Giuda.
Maria è una ragazza giovane, povera di esperienza ma va dalla parente più anziana, ricca di vita,
ricca di attese, ricca di sacra scrittura, una donna che sarà profetessa di Dio, che l’aiuterà a capire
cosa accade in lei. L’aiuterà con l’esperienza, con l’affetto, confrontando le loro due maternità
impossibili. Una lectio divina a due voci.
“E vi rimase tre mesi”. Nel suo incontro Maria ed Elisabetta si capiscono ancora prima di parlare.
Le due donne entrano in sintonia immediata, in risonanza reciproca, come le corde di un violino. Il
Magnificat non nasce nella solitudine ma in uno spazio di affetti, in una piccola comunità.
La cosa più importante nella vita sono i legami. Luca contempla il santuario di due donne
nell’attesa d’essere madri. Maria ed Elisabetta sono due cattedrali: il loro grembo è carico di cielo
e di futuro.
Vorrei anch’io abitare la terra benedicendo come Elisabetta chi mi aiuta a credere, benedicendo
ciò che cresce e matura, ciò che sa di inizio, di nascita e di germoglio, con la sua radice di terra e
insieme di cielo.
Ogni nostra parola dovrebbe contemplare il “primato della benedizione”, che è una profezia
reciproca, perché se non impariamo a benedire, non potremo essere felici.
Dobbiamo passare nel mondo magnificando, come Maria, Colui che fa dei nostri giorni un tempo
di stupore, e si curva su tutti i poveri che hanno il nido nelle sue mani. Si curva su di me proprio
perché sono povero, con poca luce, con forza incerta, con fede dubbiosa.
Vorrei dire la mia fede con la parte di Zaccaria che è in me e che stenta a credere, con la parte di
Elisabetta che sa benedire, e sarò forse motivo di benedizione per qualcuno anch’io: «benedetto
sarò se avrò creduto».
