XX DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B) Gv 6,51-58
Il lungo discorso sul pane della vita, e che da vita, al capitolo 6 del vangelo di Giovanni, sta per concludersi. Ci ha accompagnato in queste ultime tre domeniche, circondate da altre feste e solennità, che hanno arricchito con la Parola annunciata, questo percorso. Domenica scorsa solennità di s. Chiara di Assisi è risuonato il verbo rimanere, quanto mai in sintonia con questo discorso eucaristico; giovedì 15 agosto solennità di Maria Assunta, una Parola forte di vita eterna ha caratterizzato tutta la liturgia, poiché in Maria si è rinnovato il segno della Gloria e della Risurrezione del Signore.
Ogni Parola spezzata, moltiplicata e offerta, è divenuta infatti quel nutrimento di Vita, che porta nuova forza al nostro andare, mentre percorriamo questa storia, con tutti gli avvenimenti che abitano il nostro tempo .
“Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. La promessa di una vita eterna è sempre allettante e risponde al nostro desiderio di vivere per sempre e di non morire mai. “La morte seconda nol farà male” dice s. Francesco nel Cantico di frate sole mettendo in risalto questo nostro anelito, conseguenza dell’essere liberi dal male e dal peccato, mentre di fronte alla morte, chiamandola sorella l’accoglie come un passaggio ricco di fiducia nelle braccia di Dio.
Tutti istintivamente rifuggiamo ogni tipo do morte, di negazione della vita. La parola di questo capitolo 6 di Giovanni, ci apre un varco per entrare in profondità nel cuore di quella vita, promessa all’uomo dal principio del suo esistere.
“Io sono il Pane vivo..” Gesù si presenta con questa fisionomia che risuona con autorità, a partire dall’annuncio “Io sono”, che manifesta la sua identità: è il nome di Dio trasmesso ai Padri dell’A.T.: Mosè lo riceve dal roveto, nel deserto, quando chiede esplicitamente “Chi dovro’ dire che mi manda agli israeliti?”, qual è il tuo nome? Sappiamo che conoscere il nome di qualcuno, e a maggior ragione quello di Dio, significa quasi possedere questo qualcuno, avere una certa parte con lui. Ad Adamo nel paradiso terrestre viene dato il potere di dare il nome ad ogni creatura, per indicare il ruolo di superiorità dell’uomo sul creato (superiorità intesa comunque nel senso di servizio e non di supremazia!). Conoscere il nome di Dio per gli Israeliti voleva dire diminuirne la grandezza, la gloria e la potenza: il nome era ed è tutt’ora per loro impronunciabile; Gesù annulla questa sorta di distanza religiosa, per farsi vicino, e ancor più che vicino: si fa pane, semplicemente pane, quel nutrimento accessibile a tutti e indispensabile per tutti. L’Io sono del nome di Dio diventa la carne di Gesù, una carne fatta pane, un Dio che desidera e si manifesta continuamente, fino ad oggi, come il Dio con noi, in noi, comunione perennemente offerta, pienamente uomo e pienamente Dio, per l’eternità. Un Dio che non disdegna di unirsi strettamente, come fa il cibo col nostro corpo, a tutta l’umanità e a ciascuno singolarmente.
“Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” : il collegamento pane-vita- mondo torna insistentemente nella parola del Vangelo: “Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza”, ci dice sempre Giovanni al cap. 10, e qui ancor più forte nasce l’invito a mangiare di Lui per vivere per Lui. Nutrirsi di Gesù significa diventare Lui mentre Lui si unisce a noi e, non solo, si crea anche la stessa unione che c’è tra Gesù e il Padre:” come…Io vivo per il Padre, così chi mangia di me vivrà per me!”. Condividere la Vita di Dio è veramente quel frutto della Pasqua che si rinnova e si ripete in ogni Eucaristia, dono del Pane- Corpo di Cristo.
Francesco era entrato profondamente il questo mistero e guardava all’Eucaristia come al centro della sua relazione col Signore:”E come ai santi apostoli si mostrò nella vera carne, così anche ora si mostra a noi nel pane consacrato. E come essi con la vista del loro corpo vedevano soltanto la carne di Lui, ma contemplandolo con occhi spirituali, credevano che egli era lo stesso Dio, così anche noi, vedendo pane e vino con gli occhi del corpo, dobbiamo vedere e credere fermamente che è il suo santissimo corpo e sangue vivo e vero”.
Sia questo il pane del cammino che non ci mancherà mai, che ci custodirà e ci renderà capaci di farci dono, di spezzare, come pane, le nostre vite per condividere con altri la Vita ricevuta.
Sr. Grazia Maria
Monastero Imperia Porto Maurizio
Fonte:federazioneclarisse.com
