Don Paolo Zamengo”Parole dure o parole di vita?”

XXI Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (25/08/2024) Liturgia: Gs 24, 1-2a.15-17.18b; Sal 33; Ef 5, 21-32; Gv 6, 60-69

“Chi fu convocato a Sichem? Giosuè prima di tutto, eletto da Dio. Lui
raduna le tribù di Israele nella pianura presso Sichem, luogo ricco di
ricordi per tutto il popolo di Israele. E’ scritto: “Giosuè radunò tutte
le tribù… e convocò gli anziani…”.
Radunare significa raccogliere, mettere insieme. E convocare
significa chiamare gridando, invitare a una riunione per discutere e
decidere. C’è quindi un raduno che riguarda tutti e una
convocazione per partecipare, più specifica, più personale….
E chi è convocato oggi? Ciascuno di noi. Siamo convocati
personalmente, convocati e non semplicemente radunati. È facile andare una volta tanto ad un
raduno ma la convocazione richiede ascolto, partecipazione attiva e una decisione. È in gioco una
scelta ed è una scelta che mette in questione ognuno di noi, incominciando da me.
Cosa accade nel racconto di Giovanni? “Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono
indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: Volete andarvene anche voi?”. La
fede anche oggi è una scelta. La fede forse nel passato era come sospinta da una forza di
trascinamento, da tradizioni e da abitudini. Oggi non è più così. Come ai tempi di Gesù assistiamo
a un rarefarsi delle presenze. C’è chi oggi denuncia sconsolato le chiese vuote.
Noi che cosa diciamo? Vale ancora la pena di parlare di Gesù? Ma chi è Gesù per me? E che cosa
sono per me i suoi gesti e le sue parole? Oggi non posso più rifugiarmi dietro la folla. La folla non
c’è più. Ma sento i gesti di Gesù come imperdibili, le sue parole come fondamentali per me, come
fonte necessaria per la mia fede?
Mi ha colpito nel racconto di Giovanni come il ritrarsi o il seguire Gesù sia legato al colore che si dà
alle sue parola. Per quelli che se ne vanno è una parola “dura”, per quelli che, come Pietro,
rimangono, è una parola di vita. Gesù lo aveva detto “le mie parole sono spirito e vita”. Sono
parole abitate da un soffio, come un respiro, come una brezza che investe e scuote la vita. E
quando dico vita dico una cosa concreta: parole che accendono pensieri, desideri, sentimenti,
cuore e volontà. Parole che mi vibrano dentro.
Certo sono parole che hanno anche un prezzo, una fatica; parole abitate da un po’ di follia. Ma
ogni amore, se è vero, ha in sé un po’ di follia. Cos’è parlare? Cos’è amare? Come credere e come
non credere? Che cosa diventa il cristianesimo se lo riduciamo a parole sbiadite, senza colore? E
che discepolo sono, se il vangelo non mi accende di passione come deve aver acceso gli occhi di
Pietro, quando rispose: “Tu solo hai parole di vita eterna”? E voleva dire: “parole vive, vive
sempre, vive per sempre”.
Vale ancora la pena di annunciare il vangelo? Sì, se non lo scoloriamo di ogni bellezza e se non lo
priviamo di un po’ di follia. E vorrei confidarvi una domanda che mi è rimasta nel cuore a
proposito delle chiese sempre più vuote. Siamo sicuri che qualcuno, o forse molti, se ne sono
andati solo perché scoloriamo Gesù per mancanza di immaginazione e di passione? Che donne e
uomini e giovani se ne sono andati perché in cerca di gesti e di parole che custodiscano un respiro
più vero, squarci di luce, di bellezza, di poesia?
Che brutto sarebbe sentirmi dire da uno dei nostri giovani: Non ho quasi mai trovato Gesù presso
di te, il cui mestiere consiste nel parlare di Lui”. Parole che scuotono me che di Dio parlo tanto.