Alessandro Cortesi Omelia XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (01/09/2024)

Liturgia:  Dt 4, 1-2.6-8; Sal 14; Gc 1, 17-18.21b-22.27; Mc 7, 1-8.14-15.21-23

“…Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi?” A Gesù è posta questa domanda da coloro che si ritengono gli osservanti della tradizione, presentati nel vangelo di Marco come i farisei che hanno un atteggiamento polemico nei suoi confronti.

E’ da tener conto che si tratta di una caricatura della spiritualità del gruppo dei farisei, che peraltro avevano tratti assai vicini alla predicazione di Gesù stesso. Tuttavia dietro questa  presentazione sta il contrasto di Gesù con una religiosità fatta di esteriorità ed ipocrisia, atteggiamento presente in ogni tradizione e in ogni tempo. Chi vive questa attitudine è tutto concentrato fondamentalmente su di sé, sulle proprie prestazioni, e rende le prescrizioni e le norme un assoluto.  E’ una deformazione della religiosità che rende la vita senza respiro.

Nel brano del vangelo il motivo della polemica sorge dal fatto che i discepoli  di Gesù prendono cibo con mani non lavate. Questo gesto è letto come una trasgressione della legge.

Gesù viene così provocato sulla fedeltà alla tradizione dei suoi discepoli. Accoglie questa domanda e nel rispondere affronta la questione del rapporto tra quello che Dio vuole e  le tradizioni frutto di elaborazione umana.

Gesù si schiera contro l’ipocrisia, cioè l’atteggiamento raffinato che porta a scambiare i fini con i mezzi, che sostituisce la fedeltà a Dio con una osservanza scrupolosa su questioni che sono state decise dagli uomini.

Gesù riprende in tal modo la protesta dei profeti che richiamavano alla coerenza tra i gesti del culto e la vita. L’autenitco culto non si esaurisce in formalità esteriori, ma coinvolge la vita: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me. Invano essi mi rendono culto insegnando dottrine che sono precetti di uomini (Is 29,13).

Le parole di Gesù vanno dritte al centro del problema e pongono la questione decisiva: dove sta il cuore, la coscienza? Se il cuore sta presso Dio allora autentico culto è un modo di vivere in una relazione nuova con gli altri, di rispetto, attenzione cura, accoglienza  fraternità. Non ci può essere contrasto tra riferirsi a Dio e lo sguardo agli altri, soprattutto ai poveri (cfr. Is 1,13-17)

Gesù smaschera ogni fariseismo religioso che pretende di affermare  una costruzione di uomini quale  realtà divina. Così facendo impedisce di vivere la libertà alle persone da riconoscere nella loro dignità unica. “Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini”.

Gesù dice anche che la sede del bene e del male non sta nelle cose in sé stesse, ma nel cuore dell’uomo che si decide per il bene o per il male. Manifesta  così un profondo ottimismo verso tutte le realtà umane: tutto viene da Dio e per questo non può esser cattivo o impuro in sè. Nel contempo presenta anche una radicale  esigenza di responsabilità:

 “Ascoltatemi tutti e intendete bene: non c’è nulla fuori dell’uomo che, entrando in lui possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall’uomo a contaminarlo”.

Puro e impuro non dipendono da riti o pratiche esteriori, ma riguardano scelte che maturano nella coscienza. Gesù riporta tutto al profondo del cuore e pone ogni persona davanti all’esigenza di rispondere alla propria vita.

Alessandro Cortesi op

Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/