Pieve di Scandiano Commento XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (08/09/2024)

Vangelo: Is 35,4-7Gc 2,1-5Mc 7,31-37

In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».

Solo l’Amore del Padre

Nel suo pellegrinare lungo quello stretto fazzoletto di terra compreso tra il lago di Tiberiade, la regione di Tiro e Sidone e la Decàpoli (oggi territori tutti sostanzialmente parte dell’area centro-settentrionale dello stato di Israele, con alcuni sconfinamenti nella Giordania nord-occidentale), Gesù affida la sua predicazione del volto del Padre a gesti ed avvenimenti concreti, più che a parole. L’evangelista Marco, invero, costella questi capitoli centrali del suo scritto con alcuni episodi che testimoniano come Cristo scelga di raccontare agli uomini e alle donne di ogni tempo l’immensa misericordia di Dio attraverso alcuni segni che agiscono concretamente sulla vita di chi lo incontra: la pagina odierna del vangelo è infatti preceduta di pochi versetti dal racconto della guarigione della figlia della donna siro-fenicia, mentre segue a breve distanza la testimonianza della moltiplicazione (o meglio condivisione) dei pani e dei pesci, capace di sfamare una moltitudine immensa di discepoli, seguaci e curiosi.

Se ci limitassimo a questi fatti e ad una loro prima lettura, avrebbero man forte gli avversari di Gesù (antichi e moderni) che sottolineano come esistessero diversi guaritori itineranti, figure mistiche che alleviavano il male attraverso tecniche di vario tipo, o che semplicemente illudevano i più piccoli e sofferenti di potere fare qualcosa per loro attraverso la magia o arti pseudo-mediche. Così come non era una pratica sconosciuta al mondo antico recarsi presso santuari, oracoli, fonti abitate da spiriti benigni per domandare un aiuto nell’essere sanati da qualche piaga fisica o spirituale. Gesù, alla fine dei conti, sarebbe solo uno dei tanti incantatori di serpenti, uno dei diversi fabbricatori di specchi per le allodole, approfittando della disperazione dei più piccoli e poveri per guadagnarsi un nome.

La pagina del racconto di Marco in questione introduce tuttavia un elemento sottile, ma di fondamentale importanza, per comprendere come i fatti prodigiosi operati dal Maestro abbiano una caratura diversa. Preso il sordomuto in disparte, «guardando verso il cielo» (v.34) Gesù emette un sospiro e comanda all’uomo di cominciare a sentire e a parlare.

Il rapporto col Padre suo e Padre nostro («che è nei cieli» secondo l’indicazione data nel Padre Nostro) è la chiave di volta per comprendere tutti gli interventi di Cristo nella realtà: a compiere un atto di guarigione e di salvezza, che è in fondo un atto di nuova creazione (come ci suggerisce il gesto dell’emettere un sospiro, che allude al soffio creatore di Dio di Genesi 2), non è tanto una forza misteriosa, degli oscuri ed imperscrutabili poteri, il disegno capriccioso e voluttuoso di un’energia che si incanala su alcuni sì e su alcuni no; al contrario con il suo guardare il cielo, Cristo rende manifesto a questo sordomuto, e a tutti noi che ne leggiamo il racconto, come sia solo l’Amore del Padre, di cui Cristo è il perfetto mediatore, che guarisce, dona vita nuova e salva. Anche il fatto che Gesù prenda prima di tutto in disparte l’uomo (v.33) sottolinea questo: ciò che avviene non è uno spettacolo, non è una dimostrazione di potere da dare in pasto alla folla, ma è un momento intimissimo in cui quel rapporto d’amore del Padre col Figlio per mezzo dello Spirito sovrabbonda così tanto da donare vita a chi si rende disponibile ad entrare in questa relazione.

Anche a noi, oggi, è data l’opportunità di inserirci in questa comunione d’Amore: attraverso la preghiera personale, a cui dedicare tempo, attraverso la vita della Chiesa nel suo celebrare i sacramenti, a cui prestare attenzione, nel suo evangelizzare, nel suo farsi prossimo alle membra più sofferenti del popolo di Dio, per i quali spendere le nostre forze. Chiediamo anche per noi, se ne abbiamo bisogno, che le nostre orecchie tornino ad udire e la nostra lingua ricominci a cantare quella vita in Cristo che abbiamo, ognuno a suo modo, sperimentato e che compie quella sete di vita piena che ciascuno di noi, nel profondo del suo cuore e della sua mente, attende. 

Fonte:https://www.pievescandiano.it/