Figlie della Chiesa Lectio XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (08/09/2024)

Vangelo: Is 35,4-7 –Gc 2,1-5Mc 7,31-37

Il brano evangelico di questa domenica presenta il racconto di una guarigione compiuta da Gesù in territorio pagano; gli viene condotto un uomo sordomuto, che si trova in una situazione di isolamento dolorosa, essendo incapace di ascoltare e quindi di esprimersi correttamente.

Leggendo il racconto di questo miracolo, mi è venuto spontaneo pensare ad alcune persone che ho incontrato, che ad un certo punto della loro vita hanno deciso di chiudersi al mondo, non parlando più. Stare loro accanto è difficile e straziante, perché non si riesce a capire cosa vivono interiormente, come è altrettanto straziante non riuscire a dire ciò che si prova. È come essere ad un passo da una cura e non potervi accedere.

Le parole del Vangelo vanno attentamente meditate, perché aprono anche orizzonti di solidarietà e di compassione, per cui all’incapacità di esprimersi del malato si sostituisce l’iniziativa di persone buone che si fanno carico del suo grave disagio.

Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano”. Per il sordomuto è stato fondamentale lo slancio di alcune persone, che non si sono arrese e sono state disponibili a dare voce al suo silenzio. Infatti, come afferma il Vangelo, l’uomo malato non è andato da solo da Gesù, né lo ha incontrato per caso; altri ve lo hanno condotto: un gruppo di persone che si sono preoccupate del suo problema, fiduciose di poter sbloccare la sua situazione.

Ed ecco, Gesù “lo prende in disparte, lontano dalla folla” e compie sul malato gesti che hanno significativi tratti di novità: in primo luogo sceglie di portare l’uomo in un luogo appartato; riserbo e segretezza sembrano stargli sempre più a cuore. Così, a discapito del clamore che normalmente la folla ricerca, crea una situazione d’intimità in cui avviene l’incontro personale con Lui, e la persona ammalata viene coinvolta in una relazione profonda.

In secondo luogo, questa guarigione appare più laboriosa di altre; l’evangelista evidenzia la concentrazione e il coinvolgimento di Gesù in questo processo. Egli non opera soltanto con la parola, ma anche con gesti che coinvolgono la sua corporeità: mette le dita negli orecchi, tocca la lingua con la saliva; guarda verso l’alto, come mettendosi in comunicazione con il Padre; solo alla fine, preceduta da un sospiro che pare un richiamo alla donazione dello Spirito, arriva anche la parola: Effatà, apriti! Che restituisce al malato la possibilità di ascoltare e di parlare.

Il sordomuto pertanto diventa l’immagine della salvezza, come esperienza di affidamento e di apertura, che passa attraverso un altro: un corpo, una relazione umana autentica, una prossimità vera; soltanto così recupera pienamente la capacità di relazionarsi e inizia a parlare correttamente.

La storia di quest’uomo può essere anche un invito a riflettere sulla nostra esperienza.

Nella nostra società bulimica di parole, dove si riempiono i silenzi con qualunque mezzo, talvolta proprio per non dire nulla; dove spesso la parola è strumento di menzogne, pregiudizi, insulti, come riconoscere la Parola autentica che ci toglie dal nostro isolamento e ci restituisce alla relazione e alla comunione con gli altri e con l’Altro?

Siamo ancora capaci di custodire e gustare nel cuore le esperienze più significative?

Quali sono le nostre sordità e i mutismi da cui dobbiamo guarire?

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/