Don Paolo Zamengo”Effatà, apriti (spalancati)”

XXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (08/09/2024)

Vangelo: Is 35,4-7 –Gc 2,1-5Mc 7,31-37

Gesù si fa missionario ed entra in una terra straniera e qui
guarisce un sordomuto chiedendo solo disponibilità e
accoglienza. Ci sono altre occasioni in cui Gesù guarisce e
ognuna ha una sua caratteristica che ci illumina sul senso
dell’agire di Dio.

L’evangelista Marco descrive il viaggio: “Gesù lascia la regione di Tiro passando attraverso il territorio di
Sidone verso il mare di Galilea”. In una terra dove aveva già guarito la figlia di una donna pagana. Gesù
aveva opposto un iniziale rifiuto ma quella donna, con audacia, risponde che “anche i cagnolini sotto la
tavola si saziano del pane dei figli”. Gesù allora proclama: “per questa tua parola tua figlia è salva”.
In questa regione gli viene portato un sordomuto. Ci sono alcuni che intercedono in suo favore e compiono
una azione umanissima: glielo “conducono”. Sono gli altri che intercedono: “perché Gesù imponga la sua
mano”. In questo splendido condurre c’è tutto il prendersi cura del debole, di chi vive la sofferenza: è il
prendersi cura di Dio. Gesù ha davanti a sé un sordo balbuziente che riesce ad emettere solo qualche
suono ma, non potendo ascoltare, non riesce a comunicare.
È interessante quello che il testo sottolinea cioè lo stretto legame che unisce la difficoltà di parlare con la
difficoltà dell’udire. Sappiamo bene che la parola è il fondamento delle relazioni umane e della relazione
con Dio. La comunicazione è comunione. Ricordiamo il comandamento del Signore: “Ascolta Israele” e non
dimentichiamo Maria colei che ha ascoltato e accolto la Parola e ha concepito la Parola, il Verbo di Dio.
Ascoltare e accogliere è la cosa più umana e, forse, più celestiale. Nell’Apocalisse leggiamo: “Io sto alla
porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io cenerò con lui ed egli con me”. E alla
parola pronunciata da Gesù: “Effatà!” apriti! “Le sue orecchie si aprirono e il legame della lingua subito si
sciolse e parlò speditamente”. Prima di tutto Marco ci dice che Gesù allontana il malato dalla folla perché
non vuole richiamare l’attenzione su di sé ma al centro c’è l’uomo che si lascia condurre prima da quelli
che lo portano a Gesù e poi da Gesù stesso che lo chiama in disparte dalla folla.
Questo malato sordo al quale non si può spiegare verbalmente niente, si lascia portare fino a quando Gesù
compie i gesti di mettere le sue dita negli orecchi e gli tocca la lingua con la saliva. Gesti che dicono una
grande intimità. E’ straordinario cogliere come il contatto di Gesù avvenga proprio là dove si sperimenta un
grande limite, dove una malattia sembra aver spento la vita.
Gesù ha raggiunto terre pagane e ora Gesù tocca un corpo bisognoso d’aiuto. Gesù lo incontriamo e lo
conosciamo pienamente proprio nell’esperienza del nostro limite. L’evangelista sottolinea che il primo
gesto di Gesù è levare gli occhi al cielo. Il suo sguardo si alza per entrare in relazione filiale con il Padre,
mentre il suo sospiro rivela la compassione per chi soffre, prigioniero della solitudine.
E la parola “Effatà”, spalancati apre per questo sordomuto la strada della vera e totale comunicazione e
della profonda comunione che dona la vita. Gesù ci insegna che prima occorre ascoltare e poi parlare. La
parola di Gesù è rivolta a tutta la realtà dell’uomo. Questo rivela che l’incontro con il mistero di Dio
coinvolge tutta la nostra vita. La lingua che si scioglie nella proclamazione della lode fa sì che tutta la vita
diventi un continuo rendimento di grazie per la salvezza ricevuta.
E le nostre labbra possono aprirsi alla lode, al grido di stupore, a quella esclamazione di ringraziamento con
cui si chiude il racconto: “Ha fatto bene ogni cosa”. Lo stesso candido stupore provato dal Creatore
all’apice del racconto della Genesi quando Dio vede tutto ciò che aveva fatto ed era cosa buona.
E noi, suoi discepoli, teniamo aperto il cuore, gli orecchi e gli occhi, per riconoscere chi è Dio per noi.