Alessandro Cortesi Commento XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

XXIV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO B)

Liturgia della Domenica:Is 50,5-9_Sal 114_Giac 2,14-18_Mc 8,27-35

“Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo? Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: ‘Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi’, ma non date loro il necessario per il corpo, a che cosa serve? Così anche la fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta”.

La lettera di Giacomo è stata spesso, e superficialmente, letta come testo di decisa affermazione dell’importanza delle ‘opere’ nella vita cristiana in contrasto con le affermazioni di salvezza solamente in virtù della fede. Si trattava di posizioni forse presenti che estremizzavano la linea di Paolo che aveva dato accento al primato del dono di grazia e all’accoglienza di questo dono senza alcuna condizione. Così la lettera di Giacomo è stata valorizzata in una prospettiva polemica o, al contrario, svalutata perché troppo legata ad una mentalità legalistica. Ma tale lettura non rende ragione del messaggio racchiuso in questo testo, rivolto ad una comunità che viveva il rischio di snaturare la propria fede in Gesù Cristo (Gc 1,1; 2,1; 5,14-15) in fondo di perdere l’essenziale. Il rischio più grande è nell’intendere la fede in modo indifferente alla sofferenza e alla sofferenza degli altri, delle vittime. L’insistenza di Giacomo sulle ‘opere’ è da intendere alla luce di tale preoccupazione di apertura all’altro. Solo nella relazione all’altro si può incontrare il senso profondo della vita e l’annuncio del regno che Gesù ha posto al centro del suo cammino.

Per questo Giacomo insiste: “Religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo” (Gc 1,27). L’incontro con Dio passa nell’incontro concreto con l’altro sofferente. L’esperienza di fede appare sin dall’inizio connessa al rapporto con l’orfano, la vedova, e con il povero. Il volto di Dio incontrato da Israele nell’esodo ha i tratti di chi si china per liberare, per aprire vie di uscita dall’oppressione. La sua scelta diviene il paradigma di ogni percorso di incontro con lui: non esiste fede in Dio senza un rapporto nuovo, di giustizia, che promuova solidarietà e ascolto del grido degli schiacciati. Così Giacomo dice: ‘Amerai il prossimo tuo come te stesso’ (Gc 2,8).

L’autore sembra presentare ad un certo punto il quadro di una assemblea liturgica: l’invito ‘Andate in pace’ è una formula antica per sciogliere l’assemblea. In questo contesto si richiama alle ‘opere’ indicandole come modo di rapportarsi agli altri. Confessare la fede e celebrare la liturgia rimangono vuote se non comprendono un rinvio agli altri, di sollecitudine, di cura.

E’ questo il cammino di Gesù. Quando Pietro lo riconosce come ‘messia’, Gesù è preoccupato di specificare che tipo di messia: non il messia della gloria e del potere, ma il messia che vedrà venire incontro a lui rifiuto e violenza. Ciò perché ha annunciato con le parole e i gesti un mondo in cui vi è una alternativa radicale all’oppressione, al potere che schiaccia, all’uso dei beni per generare iniquità. E’ lo stile di relazioni nuove, da fratelli e sorelle. Gesù parla di un modo di vivere insieme che è alternativo alle logiche della sopraffazione e della violenza: annuncia felicità per chi sceglie l’amore come orizzonte della propria esistenza, perché ha scoperto il volto di misericordia di Dio: “chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”. 

Alessandro Cortesi op

Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/