XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) Liturgia: Sap 2, 12.17-20; Sal 53; Gc 3, 16-4, 3; Mc 9, 30-37
- Testi di riferimento: Gen 37,20; 2Sam 24,14; Sal 22,9; Pr 1,11; Sir 2,17; Is 53,3.6-7.10-12; Ger
11,19; 20,10; 45,5; Mt 10,40-42; 19,14-15; 27,43; Mc 10,14-15.43-45; Lc 22,24; Gv 10,11; 13,4-
5.20; 15,13; At 2,23-24; 1Cor 15,4; Gal 6,17; Fil 2,3-8; Col 1,24; 1Tm 2,6; Gc 1,5-6; 5,6; 1Pt
2,12.22-25; 3Gv 9
- Nel brano di Vangelo di domenica scorsa si diceva che Gesù “cominciò ad insegnare” ai discepoli quello che riguardava la sua missione di Messia (Mc 8,31). Ciò significa che questo insegnamento, difficile da digerire per i discepoli, doveva continuare. E infatti nel brano odierno abbiamo un
secondo annuncio di Gesù riguardo la sua passione e risurrezione. Ne seguirà poi un terzo. Si nota
in tutti e tre i passi uno schema analogo: a) Gesù annuncia la sua fine ignominiosa e la successiva
risurrezione; b) I discepoli hanno una reazione anomala; c) Gesù approfitta per dare un insegnamento che illumina il senso della sua missione (e anche quella dei discepoli). - L’annuncio della morte e risurrezione. Questi tre annunci potrebbero sembrare una semplice ripetizione. Avevamo notato che i quattro verbi impiegati da Gesù in 8,31 – soffrire, essere rifiutato, essere ucciso, risuscitare – si trovano insieme soltanto in Is 53 a proposito del Servo di Yahvè, quel
personaggio destinato a caricarsi dei peccati dei molti per la loro salvezza. In questo secondo annuncio, come poi anche nel terzo, Gesù aggiunge un altro verbo: “essere consegnato”. Egli viene
consegnato per essere ucciso. La “consegna” sul piano storico sarà quella che effettuerà Giuda (cfr.
Mc 3,19); ma sul piano teologico è la consegna del Figlio da parte del Padre. È Dio che vuole consegnare il Figlio nelle mani degli uomini, perché vuole che egli si carichi dei loro peccati. Anche
questo era annunciato per il Servo che Dio «ha consegnato per i nostri peccati» (Is 53,6.12). Così
Gesù, vero servo di Dio, sarà consegnato dal Padre per adempiere questa missione. Quindi Gesù interpreta la sua missione messianica alla luce di quella del Servo. Questo è il punto chiave da mai
dimenticare. - La reazione dei discepoli.
- È curioso osservare che dopo ogni annuncio della passione i discepoli reagiscono in un modo che
potremmo definire inadeguato. Dopo il primo annuncio Pietro rimprovera Gesù; dopo il secondo i
discepoli discutono su chi sia il più grande; dopo il terzo i figli di Zebedeo chiedono a Gesù i primi
posti. Queste reazioni sono evidentemente del tutto fuori luogo. Ci si può chiedere, per esempio, cosa sia saltato in mente ai discepoli di discutere su chi fosse il più grande subito dopo che Gesù ha
rivelato loro a cosa stava andando incontro. È una reazione apparentemente paradossale, in vistoso
contrasto con quanto Gesù ha appena detto loro. Eppure non è un caso raro quello in cui il nostro
comportamento contrasta in modo vistoso con quanto abbiamo appena ascoltato da Cristo. La paura
dei discepoli (v. 32) è sintomo che il discorso di Gesù è per loro qualcosa di estremamente misterioso. È quella paura istintiva che sorge davanti all’ignoto (per esempio davanti al soprannaturale; Mc
4,41; 5,15; 16,8), di fronte all’incertezza riguardo al futuro, dinanzi a qualcosa che fuoriesce dai binari dei propri schemi e quindi dall’essere tenuto sotto controllo. La “paura di fare domande” (v.
32) su quanto Gesù ha detto rivela il timore che il futuro possa celare qualcosa di particolarmente
sgradito. Meglio far finta di non aver sentito; meglio lasciare cadere il discorso piuttosto che chiedere spiegazioni che possano mettere in crisi. Meglio non fare domande che potrebbero suscitare risposte scomode. Si tratta di quel tipo di reazione istintiva (tipica per esempio dei bambini) suscitata
dall’ascolto di qualcosa che non suona gradito e che spinge a deviare il discorso nei binari sicuri dei
propri schemi, nel tentativo di avere una garanzia riguardo al futuro. - Questo tipo di comportamento ci è molto comune e ci impedisce di ascoltare e di entrare nel piano
divino, che passa per la croce, anche se stiamo seguendo Cristo e facciamo cose apparentemente
giuste e sensate. In realtà ogni giorno siamo chiamati ad affrontare un “ignoto”, a mettere in discussione i nostri schemi e ad entrare nella croce. Tuttavia se veramente ascoltiamo Cristo e non abbiamo paura di fargli domande l’ignoto non sarà veramente tale perché egli ci ha già rivelato e mostrato dove siamo diretti. «Se qualcuno manca di sapienza la domandi a Dio … senza esitare» (Gc 1,5-
6). Per penetrare le misteriose vie di Dio occorre lo Spirito di Dio. Solo dopo la Pentecoste ai discepoli diventerà chiaro il mistero della croce.
- L’insegnamento di Gesù.
- L’insegnamento di Gesù che segue al secondo annuncio porta come novità, rispetto al primo,
l’esplicito riferimento al “servo”. Dicendo «Se uno vuole essere il primo sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti» (v. 35), Gesù sta rivelando la funzione che lui andrà a svolgere con la sua missione. Andando incontro alla sua passione egli diventa “servo”. E questo consiste nel dare la sua vita in riscatto per molti (come sarà esplicitato dopo il terzo annuncio: Mc 10,43-45). Essere servo per Gesù
significa essere quel particolare Servo, di cui si parla nel libro di Isaia, che si carica dei peccati del
popolo (Is 53,3.6-7.10-12). È importante capire il parallelo con “ultimo”. Un servo, uno schiavo, è
colui che nella scala gerarchica sociale occupa l’ultimo posto e sul quale ricadono tutte le ingiustizie e tutte le colpe (lo stesso vale per la metafora del bambino). Il peccato provoca – soprattutto se
non ci preoccupiamo subito di mettervi un argine – una dinamica, una reazione a catena che passa
da persona a persona, e finisce per scaricarsi sempre sul più debole, su chi sta all’ultimo posto. Le
nostre realtà sociali, piccole o grandi, semplici o complesse, hanno inevitabilmente, in forma esplicita o implicita, una struttura gerarchica. Chi sta in fondo ad una scala gerarchica è costretto a farsi
carico dei soprusi altrui perché non ha nessuno sotto di lui su cui scaricare le proprie frustrazioni, su
cui rivalersi. Cristo ha – volontariamente – occupato questo ultimo posto perché ha voluto caricarsi
dei peccati senza restituirli, senza scaricarli su nessun altro, benché egli fosse senza peccato. Egli è
il giusto, di cui parla la prima lettura, «condannato ad una morte infame», ma al quale «il soccorso
verrà» (Sap 2,20). La missione di “servo” che Gesù ha svolto consiste in questo caricarsi dei peccati
senza resistere al male, senza restituire male per male, affinché a noi passasse il perdono. Nella croce di Cristo si frantumano i peccati dell’umanità, si ferma la reazione a catena, la spirale provocata
dal peccato. Il male, e ciò che lo produce, lo si può togliere – in ultima analisi – soltanto prendendoselo su di sé; per questo Cristo è l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo, perché è l’agnello
mansueto che ha accettato di caricarsi dei peccati senza reagire. - I discepoli sono chiamati a seguire la stessa missione di Gesù. Anche loro dovranno occupare
l’ultimo posto a somiglianza di Cristo e a continuazione della sua missione (Col 1,24). “Questi
bambini” (Mc 9,37) sono i discepoli che accetteranno di farsi carico dei peccati degli uomini a somiglianza di Cristo (1Pt 1,21). I cristiani continuano nel mondo ad occupare l’ultimo posto per caricarsi dei peccati degli uomini. Anche oggi c’è un corpo di Cristo, la Chiesa, che si carica dei peccati
degli uomini per mettervi un argine, affinché gli uomini siano salvati. Per questo il sangue dei cristiani è un seme che produce il frutto della nuova vita in “molti
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