XXV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) Liturgia: Sap 2, 12.17-20; Sal 53; Gc 3, 16-4, 3; Mc 9, 30-37
Gesù parla di nuovo della sua passione e morte (e risurrezione), e i discepoli discutono su chi tra loro è il più grande. Forse sono così lontani dal comprendere cosa potrà essere la resurrezione del loro maestro che si preoccupano già di stabilire la successione, come se Gesù dovesse morire per sempre. Non è così anche per molti cristiani di oggi che non credono che Gesù sia vivo, in quanto, appunto, risorto? Alla domanda “chi è il capo della Chiesa?” non sarebbero in molti a rispondere tutt’oggi: “il Papa”? Il vangelo ci dice che i discepoli non capivano quelle parole, e anche noi non possiamo dire di averle capite appieno.
Probabilmente non siamo capaci di accorgerci che il Signore è vivo perché lui, nella sua infinita maestà, ha preferito manifestarsi nei piccoli del mondo, di cui i bambini sono una categoria significativa perché fragili, senza malizia, semplici. Non solo Gesù continua ad essere presente tra noi, dopo aver compiuto il nuovo esodo, quello della Pasqua, ma continua ad essere presente nei piccoli, negli ultimi, in coloro che sono nei gradini inferiori della scala sociale. Non era questa la ragione per cui San Francesco volle chiamare “frati minori” la sua fraternità? Lo scandalo della croce quindi non è solo accettare che il Cristo sia passato attraverso la morte per entrare nella gloria, ma anche che la sua presenza continui di preferenza tra coloro che il mondo esclude: il contrario di quelle bambole di legno dove quella più piccola sta dentro quella più grande. Nel caso di Cristo il più grande sta nel più piccolo. Nei bambini tocchiamo il mistero della persona di Cristo, e nella persona di Cristo tocchiamo colui che lo mandato, Dio Padre. L’infinitamente grande si trova nell’infinitamente piccolo.
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