Figlie della Chiesa Lectio XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)

XXVIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (13/10/2024) Liturgia:Sap 7,7-11,Sal 89,Eb 4,12-13,Mc 10,17-30

La liturgia di questa domenica ci fa entrare in un ambito molto delicato e non sempre di facile accettazione: quello della scelta, che nel contesto culturale in cui viviamo diventa sempre più complessa e carica di incertezze. Fare una scelta infatti richiede di andare verso una direzione, escludendo conseguentemente le altre e dunque esponendosi al rischio di rinunciare a tutte le altre opzioni. Le domande che allora si affollano nella mente cominciano a diventare un vero e proprio tarlo: E se poi sbaglio? E se poi rinuncio a qualcosa di cui mi accorgo di aver bisogno? E se poi non mi rende felice? … Tali domande asfissianti potrebbero continuare!

Il desiderio di scegliere quello che si sente più forte nel cuore è attraente, ma allo stesso tempo è impattante la paura di sbagliare. La conseguenza è sentirsi bloccati, come in gabbia, incapaci di andare in una direzione piuttosto che in un’altra; e alla fine la soluzione è quella di rinunciare, di accontentarsi, a volte di aspettare che qualcun altro scelga per me, che la vita mi metta davanti l’unica soluzione ormai possibile… Tutte le altre mete pian piano sfumano e rimane solo quella che richiede il minimo sforzo, insieme alla massima insoddisfazione.

Il “tale” del vangelo di oggi sembra l’istantanea di tanti di noi, che di fronte alle scelte che ci fanno sognare e desiderare il meglio per vivere appieno, ci sentiamo come paralizzati e alla fine scegliamo di non scegliere… È l’istantanea di tanti giovani che pur volendo essere protagonisti della loro vita, si accontentano di vivacchiare, evitando di compromettersi troppo. In questo modo però si finisce per continuare a caricarsi di zavorre che paralizzano, immobilizzano e chiudono l’orizzonte, appiattendoci sul presente e sulle sue esigenze fittizie.

Qual è allora la buona notizia che questo vangelo oggi ci pone davanti?

Stupisce sempre tanto il modo con cui Gesù sta di fronte alle persone, accogliendole come sono e mostrando loro un amore che precede ogni scelta e ogni fallimento: “…Fissato lo sguardo su di lui, lo amò…”!

La buona notizia è proprio questa: c’è un amore che ci precede e ci accompagna e che niente e nessuno potrà mai toglierci. Un amore che rimane anche quando me ne vado triste, perché incapace di rispondere alle richieste esigenti della sequela, alle prospettive alte che i desideri mi avevano fatto intravedere. L’amore rimane! ed è per questo che ciò che sembra impossibile pian piano comincia a prendere forma, perché l’amore si fa strada, con i suoi tempi e con le sue strategie, finché giunge a rendere possibile ciò che ormai si riteneva perduto.

La vicenda del “tale” assume una connotazione molto ampia e apre orizzonti che vanno al di là della tristezza pur faticosa del momento. Certo il “tale” va via con tutto il peso del bersaglio mancato, ma il Vangelo, facendoci intravedere anche quello che può essere accaduto nel cuore di colui che ha appena girato le spalle ad un’opportunità, ci mostra che nemmeno in questa rinuncia l’amore si arrende.

Gesù all’inizio sembra rincarare la dose, quando afferma: “Quanto è difficile, per quelli che possiedono ricchezze, entrare nel regno di Dio!”; quanto è difficile rinunciare alle proprie sicurezze, alle comode abitudini, alle soluzioni già sperimentate, per accedere a un orizzonte affascinante, ma inedito! Lo attesta lo sconcerto dei discepoli, che si assomma a quello del “tale” appena andato via e ci mette di fronte al nostro: scegliere i desideri più profondi nei quali Dio si rivela e ci attrae, può assumere i tratti dello sconcerto e della paura, ma è proprio l’amore che ci ha preceduto e nel quale siamo stati immersi nel giorno del nostro battesimo che ci induce ad osare.

Il cammino allora diventa quotidiano, feriale; ci spinge a riconoscere nelle ordinarie situazioni della vita un centuplo che la rende piena e appassionata. Il rischio rimane sempre quello di rimanere ancorati a ciò che risulta più appariscente e appagante, a ciò che ci fa emergere e diventare qualcuno agli occhi del mondo. E questo fascino è sempre alle porte, sempre in agguato, perché si nutre del nostro bisogno di diventare qualcuno e così essere amati. L’antidoto al male antico di essere qualcuno sta nell’accorgersi che si è già nel cuore di un Dio che dona il centuplo del nostro bisogno, il centuplo di affetto sincero che è l’amore fraterno, il centuplo di quanto desideriamo più profondamente, visibile nelle relazioni ordinarie e quotidiane. Il regno è di chi si accorge che nelle pieghe più comuni delle nostre giornate c’è un amore che rende possibile l’impossibile.

“Le stelle indicano la direzione, ma non obbligano a percorrerla” (s. Tommaso d’Aquino): la scelta rimane nostra, siamo noi che dobbiamo decidere se accogliere la sfida di fidarci di un amore che ci ha preceduto, oppure rimanere ancorati alle sicurezze che ci immobilizzano. Questa liturgia ci permette di soffermarci sulle nostre scelte per poter riconoscere quali criteri le animano, da quali zavorre sono condizionate e qual è il centro in base al quale le orientiamo. Il “tale” si lascia scoraggiare dalle esigenze della sequela perché il centro intorno al quale ruotano le sue scelte è sé stesso: ciò che possiede e quanto è capace di fare. Gesù lo spiazza perché gli propone di spostare il centro da sé a Lui, dall’economia del fare all’economia del dono, dal merito alla gratuità.

La proposta evangelica ci conduce a scegliere da che parte vogliamo stare, ci sprona a chiederci: quanto la gratuità è il criterio del nostro agire? Quanto le zavorre delle nostre paure condizionano le nostre scelte? Quale economia stiamo perseguendo: quella del dono o quella della continua ricerca del proprio tornaconto?

Più lasciamo tutti i beni sensibili per Dio, più egli ci dona la loro posto beni spirituali… Più facciamo il vuoto in noi, più Dio ci riempie della sua grazia… si dona a noi pienamente, ci riempie interamente, si unisce completamente a noi, si stabilisce nella nostra anima e ne fa la sua dimora” (Charles de Focault). La meta è quanto all’uomo sembra impossibile, ma che Dio compie, per chi sceglie di dare fiducia all’amore che precede e accompagna il suo cammino.

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/