XXX Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (27/10/2024) Liturgia: Ger 31,7-9,Sal 125,Eb 5,1-6,Mc 10,46-52
- Testi di riferimento: Sal 119,18; 146,8; Qo 3,11; 8,17; Is 6,9; 29,10-12.18; 32,3; 35,5; 42,6-7.16-
20; 44,18; 49,6; Ger 23,5-6; 29,13; Mt 15,23; Mc 1,24; 5,34; 6,50; 8,17-25; 10,13.36; 13,16; Lc
17,13.19; Gv 9,39-41; At 9,18; 26,18; Rm 1,3-4; Col 1,12-13; Eb 10,35; 1Pt 2,9; Ap 22,16
- Il tema del “vedere” in Mc.
- Un’educazione alla comprensione. Nel brano odierno di vangelo abbiamo una prima conclusione –
e un primo messaggio – di un percorso che Marco ci sta facendo fare con il suo scritto. Quello che
qui si narra non è uno dei tanti miracoli, un’ennesima dimostrazione del potere divino posseduto da
Gesù per risanare gli uomini. Il racconto serve piuttosto da metafora per descrivere il compimento
di quel percorso educativo (chiamiamolo così) che Gesù ha fatto con i suoi discepoli e che l’evangelista vuol far fare ai suoi lettori. Il “vedere” corrisponde al “capire”. Uscire dalla cecità, cioè vederci, è spesso inteso come ricevere una rivelazione (Sal 119,18). Per questo a volte il vederci è
messo in parallelo con il sentirci (cfr. Is 29,18; 32,3; 35,5). Interessante soprattutto a questo proposito il testo di Is 29,10-12 dove il vedere è chiaramente una metafora per il “capire” la rivelazione
divina, come Dio è, come Dio pensa, come Dio agisce. In questo senso, se uno non vede è perché
gli manca uno sguardo divino sulla realtà, ha un impedimento che non gli permette di vedere “le
meraviglie di Dio” nella storia (1Pt 2,9), per comprendere quello che Dio dice e fa (Is 6,9; 42,18-20;
44,18). La guarigione consiste nel rimuovere ciò che impedisce di vedere. - Durante la lettura di Mc si è potuto notare come il nostro evangelista insista in modo particolare
sulla difficoltà che i discepoli hanno di comprendere, per esempio, la missione del loro maestro.
Certamente essi lo hanno seguito (ed infatti sono discepoli), gli hanno dato fiducia, lo hanno riconosciuto come Messia. Eppure in essi c’è una cecità di cui non sono consapevoli, ma che Gesù conosce. Una cecità che si è manifestata nella difficoltà di comprendere gli insegnamenti di Gesù e del
significato dei suoi miracoli (Mc 8,17-21; 9,32) e che diventerà palese di fronte alla croce. Gesù sa
che essi si troveranno al buio di fronte alla sua passione e saranno come ciechi, senza capire, e lo
abbandoneranno. Perciò li deve preparare, perché la prima cosa che un discepolo di Gesù deve capire per poterlo seguire è di essere un cieco. - Non è facile per essi giungere a vederci bene, nonostante tutte le opere di Gesù. È qualcosa di simile a quel cieco descritto in Mc 8,22-26 che riacquista la vista gradualmente. In At 9,18 si dice
che, quando Saulo riacquista la vista, gli cadono delle squame dagli occhi. La sua cecità, iniziata
con l’apparizione sulla via di Damasco, è simbolo di un’altra più profonda, di quella sua incapacità
a riconoscere e comprendere l’opera di Dio. Anch’egli pensava di vederci bene, cioè di aver capito
la realtà di Gesù e dei suoi discepoli, ma in realtà non era così. Invece il personaggio del Vangelo
odierno mostra di vederci meglio degli altri, pur essendo cieco.
- Un cieco che ci vede.
- Il cieco di Gerico diventa così figura del vero discepolo, del cammino che tutti i discepoli di Cristo
devono fare. Tale cammino parte dalla consapevolezza della propria cecità. Sapere di essere ciechi è
già vederci. Se uno sa di essere cieco cercherà la luce. Se uno sa di non sapere cercherà umilmente
di capire. Si può notare per esempio come la domanda “Cosa vuoi che io ti faccia?” che Gesù rivolge a Bartimeo (v. 51) rifletta l’identica domanda che Gesù aveva fatto a Giacomo e Giovanni (Mc
10,36; vedi Vangelo di domenica scorsa). L’ironia sta nel contrasto fra i due atteggiamenti (infantile
quello degli apostoli e umile quello del cieco) e fra le due richieste (inopportuna la prima, opportuna la seconda). - La “vista” del cieco sta anche nel sapere a chi rivolgersi. Egli ha visto giusto nel capire che colui
che passava era il Messia che poteva guarirlo. Sant’Agostino disse: Timeo Iesum transeuntem (Disc.
88,14,13). Davanti all’occasione della vita, davanti al Cristo che passa, occorre sapere cosa chiedere. Così fece il giovane Salomone con Dio quando seppe chiedere la cosa giusta, la sapienza (1Re
3,5-10). Dio concede la sapienza a chi è già provvisto di sapienza. È proprio del sapiente sapere dove si può trovare la sapienza e che essa può essere data solo da Dio (Sap 8,21). In Mc c’è dunque
questa sottile ironia nel contrasto fra i discepoli che vedono e ascoltano Cristo eppure non comprendono, e il cieco che pur non vedendo e non ascoltando comprende che in lui c’è la salvezza.
Possiamo dire che solo chi riconosce di essere cieco sarà in grado di vedere oltre, di riconoscere in
Cristo l’inviato di Dio, il Servo, che viene ad illuminare le nazioni con la sua dottrina (Is 42,6-7;
49,6). Gli apostoli che pensavano di vederci bene non hanno compreso. Però Cristo vincerà anche la
cecità dei discepoli, i quali alla fine del vangelo sapranno che Cristo li precede in Galilea dove lo
vedranno (Mc 16,7). Nel momento in cui Gesù non sarà più visibile ai loro occhi essi saranno in
grado di vederlo. Solo chi è cieco al mondo può vederci bene per comprendere il mistero di Cristo e
attraverso di lui quello dell’esistenza umana. Per questo Gesù è venuto nel mondo per un giudizio,
affinché quelli che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi (Gv 9,39). - Un bambino del regno. Bartimeo attualizza quanto Gesù aveva detto riguardo ai bambini in 10,13-
- Egli è veramente quel bambino che deve andare a Cristo, e che vuole andare a Cristo, per essere
istruito. Infatti molti lo sgridavano (come sgridavano i bambini in Mc 10,13) perché volevano impedirgli di gridare, di importunare Gesù; ma insiste finché Gesù comanda che egli vada da lui. Questo è ciò che significa “accogliere il regno di Dio come un bambino” (Mc 10,15); si tratta di accogliere la luce che ci viene portata da Cristo, sapendo di non possederla in proprio. L’ostacolo più
grande per andare a Cristo è pensare di vederci bene. Per questo, come dice ancora in Gv 9,41, «se
foste ciechi non avreste peccato; ma siccome dite: “Noi vediamo”, il vostro peccato rimane».
- La fede e il gridare. Bartimeo può acquistare la vista perché già ci vede, cioè già crede in Gesù. La
fede è la vista. È questa “vista” che lo ha salvato. Infatti Gesù, a differenza del miracolo sul cieco di
Betsaida (8,22-26), non fa nulla su di lui. È la fede del cieco che lo ha salvato. Non tanto la fede nel
fatto che Gesù poteva guarirlo, ma la fede nella identità profonda di Gesù, in quanto “Figlio di Davide”, cioè Messia. La prova di questa “vista”, di questa fede, è la sua insistenza nel gridare,
un’insistenza che costringe Cristo a fermarsi. Chi insiste è perché vuole veramente qualcosa, ed è
perché conosce da dove quella cosa gli può venire. Gesù sembra aspettare di vedere fino a che punto veramente Bartimeo abbia fede. Lo lascia gridare, anche contro i rimproveri della gente; aspetta
che sia il cieco stesso a recarsi da lui. Gesù aspetta di vedere fino a che punto Bartimeo creda in lui;
fino a che punto egli voglia guarire. Gesù può guarirci da qualsiasi peccato. Ma se non c’è un vero
desiderio di guarire egli non farà nulla perché aspetta la nostra fede. E quello che manca di solito è
proprio il desiderio sincero di ricevere la guarigione, di uscire dal peccato. Magari la fede c’è, ma il
desiderio no. Per questo il desiderio si dimostra nell’insistenza con cui ci si rivolge a lui, come fanno i bambini quando vogliono qualcosa. Anche in questo senso Bartimeo ha accolto il regno come
un bambino.
- Il discepolato.
- Bartimeo rappresenta il vero cristiano, ciò che sono chiamati a fare i discepoli alla fine del Vangelo. Bartimeo segue Cristo non tanto perché è stato guarito, ma perché è stato salvato (v. 52). E chi si
sente veramente salvato segue Cristo. Il discepolato nasce da una esperienza di salvezza che comporta un riconoscimento del Salvatore che va al di là della mera guarigione. Tanti sono stati guariti,
ma non hanno seguito Cristo. Per tanti Cristo è un taumaturgo di cui bisogna servirsi, ma non il
Salvatore dell’intera esistenza a cui donare tutta la propria vita. L’incontro con Cristo può nascere
da un bisogno contingente; ma chi giunge veramente alla fede sa vedere al di là della soluzione di
quel problema occasionale. Sa vedere che Cristo è venuto a redimere l’intera esistenza umana e non
semplicemente rattoppare delle situazioni infelici. E chi trova in lui la salvezza continuerà a seguirlo, e a seguirlo verso Gerusalemme (cfr. 10,32), nello stesso cammino della missione di Gesù. - Arriva un momento nella vita del discepolo in cui si perde la luce (Bartimeo non era nato cieco;
era diventato cieco). Momenti in cui ci si trova al buio, in cui non si vede più Dio, il senso della
propria chiamata o della propria vita. Ci si trova in situazioni di oscurità in cui ci si sente soli ed
impotenti. In quei momenti dobbiamo essere assolutamente certi che Gesù è lì davanti a noi, anche
se non lo vediamo. In quel momento dobbiamo fare come il cieco di Gerico: gridare, gridare, gridare, come farebbe un bambino. E ci accorgeremo che Gesù è lì davanti a noi e ci stende la mano, e
aspetta che la prendiamo per tirarci fuori dal nostro buio. Afferiamo quella mano – come farebbe un
bambino – e teniamola stretta; e lui ci condurrà alla luce, alla vita.
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/
