XXXII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (10/11/2024) Liturgia: 1Re 17, 10-16; Sal 145; Eb 9, 24-28; Mc 12, 38-44
- Testi di riferimento: Es 22,22; Dt 10,18; 15,10; 24,6; 1Re 13,5; Ne 10,37; Gb 22,25; Sal 68,6; Is
1,17.23; 10,1-4; Mt 6,7.19-21; Mc 10,20-21.28; 12,30; 14,3.7-8; Lc 4,25-26; 14,7-8; Rm 12,1-2;
1Cor 7,32; 2Cor 8,2-3.12; Fil 3,8; 4,11; 1Tm 5,5-6; Gc 2,2; 1Gv 3,18; 4,18
- Prima lettura: la vedova di Sarepta e l’importanza del “tutto”. Quello della totalità è un concetto
biblico non irrilevante, soprattutto quando si parla della relazione con Dio. In questa lettura si parla
di una vedova del villaggio di Sarepta alla quale non rimaneva che il minimo essenziale di sopravvivenza per se stessa e per il figlio. Nessuno avrebbe potuto ragionevolmente chiederle nulla. Nessuno poteva pretendere che lei si privasse di ciò che era strettamente indispensabile per sopravvivere. Eppure Elia lo chiede. E lo chiede in nome di Dio, vale a dire, come qualcosa che Dio stesso
comanda alla donna di fare. La richiesta è assolutamente irragionevole. La donna si trova in una situazione di estrema emergenza. C’è in corso una grande carestia; il cibo non si trova da nessuna
parte. In queste condizioni, in cui se qualcuno rubasse per vivere sarebbe giustificato, quale Dio può
comandare di rinunciare al proprio alimento, e in base a quale ragione? La necessità di conservarsi
in vita supera ogni altra esigenza; e quel pugno di farina che le è rimasto rappresenta la vita. Eppure
quel Jahvè che da altre parti nella Bibbia è chiamato padre degli orfani e difensore delle vedove, ora
pare diventato un aguzzino proprio di un orfano e di una vedova. Quel Jahvè chiede la vita. - La vedova del Vangelo.
- Anche in Mc la “totalità” è quasi un concetto teologico. Lo abbiamo già visto nelle domeniche
precedenti. Al ricco che assicurava di avere osservato “tutti” i comandamenti (10,20), Gesù lo invita
a lasciare tutto e seguirlo (10,21). A Pietro che ricorda che essi hanno lasciato “tutto” (10,28), Gesù
dichiara la loro ricompensa. Il comandamento più grande è quello di amare Dio con la totalità di se
stessi (12,30). La donna che unge Gesù con l’olio profumato lo fa versando tutto il liquido (giacché
rompe il vasetto che lo conteneva: 14,3). Così, anche nel brano di Vangelo odierno, abbiamo una
vedova che dà tutto quanto ha per vivere; simbolicamente dà la sua vita. - L’abbondanza dei ricchi e la mancanza della vedova (v. 44). Al tempo di Gesù una vedova riceveva, come altri poveri, la razione giornaliera che le serviva per il proprio sostentamento. Mentre molti versano nel tesoro del tempio il loro superfluo, la vedova dà «tutto il suo vitto» (il termine è bios,
“vita”). Ella infatti ha versato quello che le veniva dato come sua razione quotidiana di sopravvivenza. Quel giorno si è privata (volontariamente) di quanto le serviva per vivere, facendo un segno
con cui mostra di voler mettere tutta la sua fiducia in Dio. Quanto lei ha dato serve ben poco per arricchire il Tempio, ma è un atto con il quale riconosce Dio come fonte della sua esistenza. Gesù
quindi afferma che dà veramente colui che dà la “vita”, che dà ciò che gli permette di vivere. Chi è
“mancante”, indigente, l’unica cosa che possiede è la vita. È l’offerta della vita il vero contributo
per l’edificazione di quel tempio di Dio che è la Chiesa. - In Mc 14,3-9 si racconta di una donna che versa dell’olio profumato, di grande valore, su Gesù. Lo
versa tutto, giacché addirittura rompe il vaso che conteneva il profumo. In questo contesto Gesù si
presenta come il vero “mancante”, il vero povero (vv. 6-8) che offre la sua vita per gli uomini. Ma
egli è anche il nuovo tempio a cui va dato tutto ciò che si ha. Sia questa donna anonima che la vedova del tempio mostrano cosa significhi compiere il più grande dei comandamenti, l’amare Dio
con la totalità della propria vita. La donna versa tutto l’olio, addirittura rompendo il vasetto; e tutti
sono scandalizzati della “perdita” (Mc 14,4), perché si ritiene una perdita inutile, uno spreco, dare a
Dio tutto. Ma questa donna, senza proclamarlo, come farà invece il centurione più tardi (Mc 15,39),
mostra di riconoscere in Cristo il figlio di Dio e lo ama senza tenere nulla per sé, come la vedova. - La religiosità e la fede.
- Un cristiano praticante potrebbe non essere del tutto consapevole della differenza che intercorre
fra essere religioso ed essere cristiano, fra gli dèi delle religioni e quello di Gesù Cristo, fra il servirsi della religione e l’essere al servizio di Dio. Così nei capitoli 11, 12 e 13 di Mc appare un’alternanza fra discorsi relativi alla fede e altri relativi al tempio. Il tempio è un simbolo della religiosità naturale. Si va al tempio per offrire a Dio, ma fuori del tempio ognuno si considera dio della propria vita, ritiene di gestirsi la vita come crede. - La religiosità si pasce di apparenza, di esteriorità, di culti esteriori, indipendentemente dalla condizione interiore; ed è questo che Gesù critica nell’atteggiamento degli scribi, oltre al fatto di usare
la religiosità per il proprio vantaggio, anche a costo di sfruttare gli altri. L’atteggiamento degli scribi biasimato da Gesù funge da chiaro contrasto con quello della vedova. È il contrasto fra religiosità
e fede, fra il culto esteriore e la vita, fra il servirsi della religione e il servire Dio. Nel cristianesimo
non c’è una separazione fra sacro e profano. Tutto è santo, e il tempio è il corpo del cristiano offerto
interamente a Dio. Per questo il cristiano offre a Dio un culto spirituale con tutto se stesso e in tutta
la sua vita (Rm 12,1-2; Gv 4,23-24). L’uomo religioso offre a Dio molte cose, ma non la vita. Egli
offre a Dio per ricevere da Dio ciò che lui desidera; Dio è in funzione sua, perché lui è al centro,
non Dio. È lui che offre, è lui che fa qualcosa per Dio, è lui che vuole che Dio deve aiutare a fargli
realizzare la propria volontà. E il suo offrire è spesso spinto dalla paura. Chi invece ama è disposto
a dare tutto; infatti «nell’amore non c’è timore, al contrario l’amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell’amore» (1Gv 4,18). - La totalità è costitutiva dell’amore. Dio vuole tutto perché vuole che amiamo, perché sa che solo
l’amore ci fa felici. Il cristiano offre a Dio la sua vita riconoscendo che la vita non gli appartiene e
perché Dio faccia con la sua vita ciò che vuole. Chi è pervenuto alla fede, chi ha conosciuto il Dio
di Gesù Cristo, ha capito che egli in realtà non ha nulla da offrire, ma è Dio che offre tutto a lui, a
partire dal bene primario della vita. - Un cristiano inconsciamente può aver adottato un stile di vita tipo religioso. Ma arriva un momento in cui Dio, il Dio di Gesù Cristo, ti “provoca” a dargli tutto; e magari non ce la fai. Ma forse questo ti “sveglia”, ti fa prendere coscienza che quel modo di vivere la tua relazione con Dio non ti è
utile e ti chiama a operare una conversione alla fede, alla conoscenza di un Dio che ti ha dato tutto e
che ti sta dando tutto, come ha fatto una volta per sempre nel suo Figlio (seconda lettura).
- Altra possibile interpretazione. Alcuni ritengono che quello che a prima vista potrebbe sembrare
una lode nei confronti della vedova in realtà non sarebbe così. Gesù non starebbe lodando la donna,
ma rivolgendo un’ulteriore critica verso il sistema templare e la teologia degli scribi. È vero che
versare offerte in favore del tempio faceva parte delle opere di ogni pio giudeo. Tuttavia, come Gesù aveva criticato l’insegnamento illegittimo degli scribi e dei farisei che spingevano le persone a
fare offerte anche contravvenendo a norme fondamentali della Legge divina (Mc 7,5-13), così in
questo episodio Gesù di nuovo starebbe vedendo nell’obolo della vedova – per quanto ammirabile
in se stesso – una biasimevole forzatura proveniente dall’insegnamento dei capi religiosi. Gli scribi
contravvengono in questo caso alla Legge divina che prescrive di avere a cuore gli orfani e le vedove (cfr. Es 22,22) per seguire invece la propria tradizione (come appunto Gesù ha detto in Mc 7). La
vedova non era assolutamente tenuta a versare ciò che le serviva per vivere, ma avrebbe fatto quel
gesto perché spinta dall’avidità degli scribi (che nel v. 40 sono descritti come divoratori delle case
delle vedove), i quali avrebbero disprezzato quelle due monete se non fossero state tutto quanto
aveva. Le parole di Gesù sarebbero dunque un’attestazione dell’estrema spietatezza degli scribi e un
lamento nei confronti di una religiosità diventata ormai così depravata e corrotta che non risparmia
nemmeno i più poveri (in questo caso tale lamento continuerebbe e troverebbe il suo epilogo nel
proseguo del Vangelo con la predizione della distruzione del tempio). - La vedova cristiana. Secondo san Paolo la vedova cristiana «quella che è veramente vedova … ha
riposto la sua speranza in Dio e si dedica alla preghiera giorno e notte» (1Tm 5,5). La vedova del
Vangelo, con il suo gesto di estremo abbandono nelle braccia di Dio, può così facilmente raffigurare la vedova cristiana, chiamata a porre la sua fiducia in Dio, Padre delle vedove. Lungi dal commi-
serarsi per la sua sorte, per la sua miseria, ella offre tutta se stessa al Signore, sapendo che «la donna
non sposata si preoccupa delle cose del Signore» (1Cor 7,34).
Fonte:http://www.donmarcoceccarelli.it/
