XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) (17/11/2024) Liturgia: Dn 12, 1-3; Sal 15; Eb 10, 11-14.18; Mc 13, 24-32
Dunque il tempo è finito, l’evangelo è iniziato con la proclamazione: tempus impletum est, cioè di un tempo compiuto, di un tempo pieno, di una pienezza dei tempi. E adesso ci apprestiamo a celebrare e proclamare che questo tempo, segno della misericordia di Dio, è giunto al termine e non esiste dilazione. Tutto quello che è nascosto è destinato a rivelarsi, tutto il non detto e il sussurrato troverà pienezza di compimento nella Parola che non passa, perché tutto è nelle mani del Signore della storia.
Ciò è prefigurato dal tempio che crolla, dalla fine dei sacrifici, dal segno dello sconvolgimento dell’intera creazione. Questo accadrà dopo la grande tribolazione, che è insieme grazia e tentazione; una prova che è sempre in atto all’interno della Chiesa, della storia, delle nostre esistenze.
Allora scorgeranno il figlio dell’uomo: è un figlio che tutti vedranno e guardando il Figlio l’uomo riconoscerà se stesso e il senso del mistero del mondo, perché per questo era stato creato: per essere figlio nel Figlio. Quella visione sarà un giudizio e una discriminante delle opere che gli uomini avranno compiute alla luce della sua Parola: opere valide o non valide alla luce della relazione con il Cristo. Saremo un popolo radunato dai suoi angeli, un popolo perfettamente costituito; e nessun eletto, ovunque si trovi, verrà dimenticato, perché fin da ora ogni creatura è sua. Conta fin da ora questa appartenenza, come questo affidarsi al Figlio che ci conduce alla libertà; libertà che è anche del Padre, il quale si riserva il momento dell’apparizione del Figlio nella gloria, perché la nostra vita non è scandita dal kronos, ma dal kairos della salvezza.
E’ un Cristo che ancora una volta è alla porta, simbolo di prossimità, ma anche di attesa. Una figura che anche l’Apocalisse di Giovanni riprenderà, per sottolineare l’intimità di una relazione che varca i confini del tempo.
Se dunque questa pagina evangelica fortemente impregnata di temi apocalittici che descrivono una realtà che vive le ultime cose (eskaton) in un atteggiamento di attesa (parusia) proviamo ad innalzare lo sguardo al Cristo che sta alla porta: il primo Vigilante, la Sentinella del mattino, il Veniente con tutti i suoi santi che ci introduce nell’intimità della sua casa. Dal momento che è risorto egli è l’Imminente, il Prossimo, il Compimento. Viviamo nella polarità di questi elementi: prossimità e compimento, chiamati a guardare e a farci guidare da ciò che non passa.
Per questo il cristiano è sempre attuale, perché fonda il suo giudizio e il suo discernere i tempi alla luce della Parola, stabile come il cielo. Siamo nati e non moriremo mai più, ci ricordava Chiara Corbella Petrillo. Nel Cristo la pienezza della vita ha fatto comunione con la transitorietà dell’uomo e della storia. Abbiamo nei confronti della vita la responsabilità di colui che sta sempre di fronte al suo Signore che viene e non permette che niente e nessuno lo possa distogliere da questa costante disponibilità per il suo Signore e Maestro.
Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/
