Don Paolo Zamengo” Una gemma racconta”

XXXIII Domenica del Tempo Ordinario (Anno B)  (17/11/2024) Liturgia: Dn 12, 1-3; Sal 15; Eb 10, 11-14.18; Mc 13, 24-32

Quando spunta una gemma su un ramo c’è bisogno di occhi aperti perché nella
gemma c’è un’indicazione preziosa anche per la nostra vita di fede. Quando ci
sentiamo sommersi dalle catastrofi della storia, quando siamo investiti da
un’ondata di emozioni che ci incutono paura, quando siamo imprigionati e
vediamo solo il buio, allora è il tempo di fermarsi, di rallentare, di prestare
attenzione, di accorgerci di un piccolissimo segno.
“Dalla pianta del fico imparate: quando ormai il suo ramo diventa tenero e
spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina”. Questo è il vangelo di oggi.
Noi non siamo testimoni di un passato che si accartoccia su se stesso ma siamo
testimoni del futuro. Non ve ne accorgete? Oggi germoglia. Ma dove? L’anno santo ci farà camminare
verso una primavera di speranza e verso la libertà, ma se restiamo fermi nei rimpianti sterili o peggio, vuol
dire che siamo ancora legati a pesanti catene che rifiutano la speranza.
Per germogliare e far germogliare bisogna dare spazio a parole alte, a quel brivido segreto che ci abita. C’è
bisogno di bontà, di bellezza, di vita a cui diamo il nome di Dio. A noi toccherà piantare e irrigare, ma chi
farà crescere è Lui. Teniamo vivo il cuore e il piccolo seme crescerà. Restiamo aperti al suo mistero.
Gesù ha raccontato parabole: il grano cresce, il chicco di senape cresce, l’impasto di farina cresce, una
piccola luce resiste. E, ancora una volta, ad innamorarci sono gli occhi di Gesù: lui passa, osserva il campo e
vede il grano e i fiori. Passa e osserva un orto e si incanta per come si sviluppa il più piccolo dei semi. Entra
in una casa e vede la pasta gonfiarsi nelle mani di una donna che nella farina ha nascosto un pizzico di
lievito.
Gesù cammina e si accorge. Forse sta qui una delle cause della nostra cecità perché non camminiamo e
non ci accorgiamo di cosa sta germogliando nel visibile e nell’invisibile. Eppure continuiamo ad avere una
inutile fame di ciò che è grandioso, di ciò che fa notizia, di ciò che è spettacolare e immediato. Allora come
può appartenerci la pazienza della speranza, della crescita che chiede tempo calmo e fiducia?
Ma c’è altro da capire. Il male cresce con il bene e non è facile esserne sempre consapevoli. Dentro
ciascuno di noi cresce la zizzania insieme al grano. Le nostre motivazioni sono miste, complicate e i nostri
desideri sono un miscuglio disordinato che rivela chi siamo. Gesù vuole darci la lezione della piccolezza.
Solo lui la conosce. Aveva visto riempirsi di nidi e di voli l’albero e aveva pensato che da qui si parte per le
storie più vere, quelle che hanno un futuro affidabile.
Questa è la legge del regno di Dio, il segreto della storia più vera. L’elogio della piccolezza, a ben vedere,
attraversa luminosamente tutto il vangelo. In contrasto netto e insanabile con l’esaltazione spudorata
della grandiosità e dell’imponenza, che non fanno né nidi né voli. Credere nel futuro, credere nella
speranza e nella crescita è rifuggire la logica spietata del ‘tutto e subito’ che ci fa precipitosi e insofferenti
di tutto ciò che matura nel tempo.
Teniamo negli occhi le mani fiduciose della donna che sa e crede che a gonfiare la farina è solo un pizzico di
lievito. Lei per esperienza sa che la lentezza non è una perdita di tempo ma è la premessa dello stupore.
Lei sa che basta poco per saziare la fame di tanti.
Forse il futuro sta tutto in una briciola, come diceva Madre Teresa: “Non tutti possiamo fare grandi cose,
ma tutti possiamo fare piccole cose con grande amore”. Buon anno santo della speranza a voi tutti.