Figlie della Chiesa Lectio”Nostro Signore Gesù Cristo Re Dell’universo”

XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) – Cristo Re  (24/11/2024) Liturgia: Dan 7,12-14; Sal 92; Ap 1, 5-8; Gv 18, 33b-37

Con questa domenica, solennità di Cristo, Nostro Signore e Re dell’Universo, celebriamo l’apice dell’anno liturgico. Il cammino che percorriamo, settimana per settimana, scandito da feste, solennità, memorie, Tempi Forti e Tempi ordinari, oggi approda ad una svolta decisiva; e i testi scritturistici ci offrono alcuni spunti per riflettere.

Nella prima lettura, tratta dalla profezia del libro di Daniele (Dn 7,13-14) il protagonista è un personaggio «simile ad un figlio d’uomo» in relazione con un «vegliardo» il quale, con il suo tacito placet, gli conferisce un potere illimitato nello spazio e nel tempo che, non avendo mai fine, presenta un carattere di definitività e assolutezza.

Il Salmo 92 aggiunge ulteriori specificazioni a questo regno – il regno del Signore – come piccole tessere di un mosaico evidenziano il riferimento alla stabilità e all’eternità. Si parla di una realtà alla quale potersi riferire e affidare, perché si presenta come un punto fermo di fronte al susseguirsi degli eventi. Nel Salmo ci viene offerto anche un insegnamento: il Regno del Signore è accessibile, è aperto alla conoscenza. C’è dunque una via di accesso a questo Regno che ha a che fare con la santità: il nostro modo di pensare, sentire, agire, non è indifferente, perché c’è un parametro al quale poterci richiamare, che ci parla di bontà, bellezza e verità; e ci consente una vita buona, bella e vera.

Il brano dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo (Ap 1,5-8) spalanca un’altra porta di comprensione: il Signore – «sovrano dei re della terra», «Alfa e Omega» – ci ha consegnato una testimonianza di Amore eterno nel Sangue versato per noi. La sua scelta non soltanto non è un fallimento, ma dischiude un orizzonte di gloria. In questo contesto di vita offerta per noi i nostri schemi «normali» d’interpretazione della realtà devono per forza saltare. Siamo di fronte ad un capovolgimento di prospettiva, che necessariamente ci interpella: il criterio in base al quale valutiamo le cose, il criterio ermeneutico, deve diventare quello dell’Amore che ci ha liberati. È un Amore traboccante, che chiede di diffondersi. La liberazione che si è compiuta a nostro favore raggiunge il cuore della condizione umana e la scioglie dal peccato.

La teologia della grazia ci spiega la profondità di tale Mistero: la creatura umana è restituita alla relazione con Dio; ritorna degna di essere guardata da Dio. È il riscatto più grande che l’essere umano può vivere: il Padre, attraverso l’azione di Cristo, si fa garante per noi di un’esistenza che raggiunge il suo bersaglio, perché riceve una pienezza di senso. La vita assume un significato e una meta, non è abbandonata all’oblio del non senso. Dio opera per la nostra felicità e salvezza, perché ha un «sogno» da condividere con noi: l’eternità con Lui.

Già da questa terra siamo abilitati a vivere una relazione di amicizia con Lui, crescendo nella confidenza, fino a partecipare del suo desiderio di bene, prolungandone l’azione nel mondo. Siamo restituiti ad una «vita connessa con il Padre» che impreziosisce ogni attimo della nostra esistenza, perché tutto possiamo presentare e offrire a Lui: siamo «sacerdoti» che eleviamo le nostre preghiere di ringraziamento, di lode e di supplica, sapendo di essere ascoltati.

Il testo del Vangelo (Gv 18,33b-37) mette a confronto due realtà di regalità: Cristo è Re ed ha un potere nascosto, che chiede occhi allenati e guariti per poterlo riconoscere, perché opera al di là delle apparenze e degli schemi di questo mondo; Pilato invece è espressione di un potere visibile e apertamente riconosciuto. L’uno parla di amore, di dono, di libertà; l’altro di sopraffazione, sottomissione e imposizione. Pilato sembra interessato alla regalità di Gesù, fa domande, ma nello stesso tempo sfugge la risposta. Quando Gesù lo invita ad andare in profondità, non accetta; è troppo intrappolato nelle logiche mondane, per accettare di esserne liberato.

Qual è la Verità di cui parla Gesù? La Verità è l’amore del Padre, di cui Lui si fa testimone perenne ed inequivocabile. Sappiamo che l’incontro tra Gesù e Pilato non giunge a buon fine, perché – i Vangeli lo narrano – si lava le mani; non ne vuole sapere; non intende compromettersi; ha paura delle conseguenze che deriverebbero dalla scelta giusta che lui potrebbe compiere. Pilato, pur riconoscendo l’innocenza di Gesù e avendo la possibilità di liberarlo, si tira indietro, dando il suo assenso ad una logica di potere perverso e iniquo. La sua scelta di compromesso verrà biasimata da Roma, perché in definitiva egli ha accettato la condanna di un innocente.

Trovandoci di fronte a due «sistemi di potere» tanto differenti e distanti anche nelle conseguenze di cui sono portatori, possiamo far emergere alcuni interrogativi: Perché il Regno di Gesù è così difficile da accogliere ed accettare? Perché è così arduo entrare nella logica di un Regno, che pure parla solo di Amore? In fondo non desideriamo tutti la felicità?

La verità è che un Regno di tale portata sbaraglia le certezze che ci siamo costruiti da soli. La regalità di Gesù è difficile da accogliere perché l’essere umano vuole essere lui il re di un regno costruito a sua immagine e secondo le sue regole; nella sua scelta di escludere Dio per camminare in una via alternativa, in realtà rifiuta di accettare la propria condizione di creatura, incapace di darsi la vita e il senso dell’esistenza. Balzano agli occhi di tutti – i giornali e i social ne sono invasi – le conseguenze di questo delirio di onnipotenza da parte dell’uomo che, quando vuole fare da sé, prescindendo da Dio e senza nessun collegamento con l’Eterno, è capace di fare disastri di portata epica.

Come uscire da tutto questo? Quale soluzione proporre?

Fare marcia indietro! Ricordarci la nostra vera identità: creature che hanno bisogno del loro Creatore! Tutto esiste per volontà dell’Onnipotente, «Signore dell’Universo». Dovremmo essere capaci di leggere la nostra storia a partire da questa consapevolezza. Il fatto di sapere che c’è un Amore che ci precede e ci avvolge non dovrebbe essere indifferente per le scelte che dobbiamo operare e per la qualità del nostro vivere. Solo accogliendo e aprendoci a questo Amore ritroviamo l’armonia con noi stessi, con gli altri e con la realtà che ci circonda. Il mondo ha bisogno di ritrovare il proprio ordine, per riavere una cosa di cui oggi c’è disperato bisogno: la pace!

Fonte:https://www.figliedellachiesa.org/