XXXIV Domenica del Tempo Ordinario (Anno B) – Cristo Re (24/11/2024) Liturgia: Dan 7,12-14; Sal 92; Ap 1, 5-8; Gv 18, 33b-37
Forse Pilato cercava di capire chi fosse Gesù. E forse per
questo Gesù, che ha taciuto davanti al Sinedrio, ora parla a
Pilato, quasi gli riconoscesse il desiderio di capire. Capire di
che regno e di che re si trattava. Qualcosa, infatti, non
corrispondeva con quello che gli avevano detto di lui. Gesù
non aveva proprio l’aria di essere un gran re. Eppure così
glielo avevano presentato, come uno che si fa re. Ci
affacciamo anche noi alla domanda di Pilato, in questa liturgia di Gesù re dell’universo.
“Dunque tu sei re?”. La domanda va fatta a Gesù. Le risposte degli uomini sono essere ambigue o
addirittura fuorvianti, a volte menzognere. “Dunque tu sei re?” “Il mio regno non è di questo
mondo, non è di qui”. C’è da capire, perché se rimaniamo a questa risposta non riusciamo
proseguire. E cadiamo o possiamo cadere in una interpretazione fuorviante per la quale il regno di
Gesù ci interessa, ma non è di qui, è solo dell’al di là, o nel cielo.
Ma allora perché preghiamo: “Venga il tuo regno, Signore”? Ma se è del cielo? Se non è di qui? E
Gesù lo spiega: non è di questo mondo, non è di qui, non perché non si interessa della terra e del
mondo ma perché è un regno che ha un’altra anima, un’altra logica, tutt’altra politica lontanissima
anni luce dalla logica dei regni terreni.
La logica dei regni della terra è combattere, perché un re non sia consegnato in mano ai nemici. “I
miei servitori” – dice Gesù – “avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei”, se il
mio regno fosse sul modello dei vostri: “Ma il mio regno non è di qui”.
Gli esegeti fanno notare che l’accostamento è affascinante, è emozionante, che la breve parola “di
qui” -non è di qui- la ritroveremo poco dopo nel Vangelo di Giovanni per raccontare che, con
Gesù, crocifissero altri due, uno di qui e uno di qui e Gesù in mezzo. E là, sulla croce, l’iscrizione
“Gesù, il Nazareno, il re dei Giudei”.
È folgorante l’accostamento. Dove si combatte, dove si fa violenza, dove il criterio è essere
vincenti, dove si abusa dell’altro, dove si fa strada la voracità del potere, del denaro, dell’ io…,
Gesù dice: non è di qui, non passa di qui il mio regno. E invece è di qui, sulla Croce, tra due
malfattori.
E dunque là dove le braccia sono spalancate, nell’atto della consegna totale, là dove l’altro conta
più della tua vita, là dove ci si batte per la libertà, per il rispetto dell’impronta di Dio nell’uomo e
nel creato, là si può dire passa di qui il regno di Dio.
Bisogna essere onesti con se stessi. Ci sono territori sui quali non possiamo mettere l’iscrizione
“regno di Dio”. Non metterla là dove si insegue il potere, la notorietà, l’interesse. Mettila, senza
paura dove ci sono braccia allargate, perché là non si può equivocare. Là, metti l’iscrizione “regno
di Dio”.
Poi c’è la presentazione di Gesù fatta da Pilato, poco dopo, alla folla: “Ecco l’uomo”. Gesù con la
corona di spine sulla testa sembra svelarci che questa, la sua, è la via per una vera umanità. E,
infatti, chi è l’uomo, in questo avvicendarsi dei personaggi della Passione? Sembra di assistere allo
scatenamento della malvagità bestiale: l’umanità di Gesù a confronto con la disumanità degli
uomini.
“Ecco il re”, dice oggi la liturgia. “Ecco l’uomo”, dice Pilato, per un’umanità sempre da ricostruire.
