III Domenica di Avvento (Anno C) – Gaudete (15/12/2024) Liturgia: Sof 3, 14-18a; Sl: Is 12, 2-6; Fil 4, 4-7; Lc 3, 10-18
“La morte si sconta vivendo” scriveva Giuseppe Ungaretti a conclusione di un suo componimento che risente della tetra esperienza della Grande Guerra; “L’inferno sono gli altri” gli faceva eco nel 1944 Sartre nel celebre dramma teatrale Huis clos.
Se ci guardiamo intorno sembra sovente di dover dare ragione a queste lapidarie affermazioni: gli uomini e le donne del nostro tempo sembrano ormai divenuti lupi gli uni per gli altri, predatori della loro stessa specie, mutuando un’espressione di Thomas Hobbes. Il problema è che spesso la soluzione che lui proponeva, ovvero un rigido controllo sul comportamento umano da parte del potere statale, “Il leviatano”, ha mostrato anche nella storia recente più i suoi aspetti inquietanti e distruttivi che le sue potenzialità di pace. Ovunque scontri, ingiustizie, prevaricazioni di ogni sorta, chi scrive non dimentica come pochi giorni fa si sia evitato un pericoloso colpo di Stato in una delle nazioni ritenute più progredite dell’Estremo Oriente o come la Siria, ormai in guerra da oltre un decennio, torni a fare parlare tristemente di sé. Anche la Chiesa in questo tempo non sembra versare in condizioni ottimali: si ha spesso l’impressione che la barca di Pietro non sappia bene dove orientare il timone o, meno prosaicamente, non sappia proprio dove sbattere la testa e noi … ognuno sa di casa sua, alternandosi tra speranze e dolori. In certe giornate ci sembra proprio come la vita del mondo e la nostra, suoi minuti abitanti, si possa riassumere con le parole del salmo che preghiamo nella compieta del venerdì sera: “Sopra di me è passata la tua ira, i tuoi spaventi mi hanno annientato, mi circondano come acqua tutto il giorno, tutti mi avvolgono. Hai allontanato da me i miei compagni, mi sono compagne solo le tenebre” (Sal 88,17-19).
Eppure, proprio in questo scenario, continua, anno dopo anno, a giungerci l’annuncio di questa terza domenica del tempo dell’attesa: Guadete! Rallegratevi (antifona iniziale); grida di gioia, esulta ed acclama (I lettura); cantate inni (salmo); non angustiatevi (II lettura). È un invito che definirei scandaloso, che può dare quasi fastidio. Assunte le premesse dell’inizio, come puoi Signore farci giungere questa parola? Ci si può rallegrare in un contesto del genere? Oppure per farlo è necessario chiudere gli occhi, fuggire dalla realtà e rifugiarci sotto una campana di vetro?
Per provare ad accennare un’idea di risposta a queste domande, ci addentriamo nel vangelo proposto dalla liturgia. Il capitolo terzo del racconto di Luca funge come da cerniera tra l’infanzia di Gesù (narrata nel capitolo precedente) e l’inizio della predicazione, inaugurata dalle tentazioni nel deserto e dal discorso nella sinagoga di Nazareth (in quello seguente). In questi versetti protagonista è Giovanni Battista che, aprendo le strade a Cristo, annuncia che la signoria di Dio è ormai prossima e che il Suo giudizio è imminente (vv. 16-17). L’invito rivolto alla folle che lo interrogano è quello di rinnovare radicalmente lo sguardo sulle vicende della terra, creando un cambio di paradigma. Il primo invito è rivolto invero a chi è nell’abbondanza che viene esortato a condividere i propri beni con chi è nel bisogno; successivamente Giovanni si rivolge invece a chi ha posizioni di potere, chiedendo che sia esercitato con onestà e rettitudine. Egli sa bene come questo cambio non sia facile (Perché, potendolo fare, io pubblicano non dovrei esigere più di quanto è dovuto?), ma è anche conscio di come questo possa essere generato nell’uomo che è in attesa di Qualcuno. Questo rinnovamento è possibile nella misura in cui il singolo riconosce che non saranno le sue forze a salvarlo, che per quanto si impegni egli non aggiungerà un solo giorno alla sua esistenza. Nella misura in cui io riconosco che non sono destinato al nulla, ma che la mia stessa vita è attesa di un compimento che qui sulla terra non riesco a raggiungere qualcosa di nuovo può nascere
“Re d’Israele è il Signore” suggella solennemente la prima lettura (Sofonia). Nel riconoscere il nostro essere attesa di questo Re è inaugurato per ciascuno un modo nuovo di vivere il rapporto tra di noi, uno stile rinnovato per esercitare il potere, un metro di misura inaudito per valutare le scelte: quello della piccola fragilità di un Bambino appena nato.
Rallegriamoci, dunque, perché fin d’ora possiamo vivere nelle nostre case, relazioni, luoghi di lavoro, comunità cristiane, questo nuovo stile del Dio-con-noi.
Fonte:https://www.pievescandiano.it/
