Figlie della Chiesa LectioIV Domenica di Avvento (Anno C)

IV Domenica di Avvento (Anno C)  (22/12/2024) Liturgia: Mi 5,1-4a; Sal 79; Eb 10,5-10; Lc 1,39-45

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda.

Inizia così il brano del vangelo di Luca della IV domenica di Avvento. Non sappiamo ancora cosa sia successo per mettere in movimento Maria. Domenica scorsa eravamo con Giovanni. Il cammino di Avvento infatti, procede straordinariamente a ritroso: dal capitolo 21 (Lc 21,25-28.34-36) della prima domenica, al terzo (Lc 3,1-6 Lc 3,10-18) delle domeniche successive, fino al primo di questa domenica (Lc 1,39-45). Questo tempo della Chiesa non ci chiama a ripetere un cammino, ma, a tornare indietro fino a riscoprire il volto di chi ha acceso il nostro cuore, muovendoci al cammino di fede.

Dai tempi più remoti il mondo cerca Dio. Cercare Dio è un bisogno vitale per dare un senso alla vita. Solo Dio può rispondere alle grandi domande di senso che abitano il nostro cuore. È quindi la nostra umanità che ci mette in ricerca, la nostra fragilità, la nostra finitezza. Perché mi nascondi il tuo volto? (Gb 13,24) Ti sei dimenticato di me? (Sal 42,10) Mi respingi? (Sal 88,15) Non rispondi? (Sal 27,7).

L’Antico Testamento ce lo dice chiaramente: abbiamo bisogno di Dio. Non si può trovare Dio se non cercandolo. Ma, quale Dio sto cercando? Con le parole di Sant’Agostino possiamo dire che il cuore dell’uomo non può trovare pace se non nel Dio di Gesù, che va cercato, certo, ma soprattutto accolto. È Maria, più di chiunque altro, ad insegnarci ad accogliere. Lei che si è fatta grembo per un Dio del quale non conosceva il volto, che ha accolto Dio per scoprirne il volto, pronta a farsi stupire. Accogliere: perché questo Dio, che noi cerchiamo da sempre, da sempre ci cerca per primo, per creare con noi una relazione d’Amore. Si è manifestato ai nostri padri. Si è incarnato, nella nostra stessa carne, perché la nostra carne potesse conoscerlo.

La fretta di Maria è una fretta ricolma di gioia e di stupore: ha conosciuto il Dio di Gesù Cristo che da lei nascerà, il Padre che viene a cercare l’uomo, facendosi Figlio suo e fratello nostro: per questo non può stare ferma. Parte, in fretta anche se il cammino sarà difficile: la regione verso cui è diretta è una regione montuosa, è la regione di Gerusalemme. Dall’alfa di Nazareth all’omega di Gerusalemme, dove tutto si compirà. Non c’è risurrezione senza passione, non c’è passione senza incarnazione. Il tempo di Dio è un eterno presente che porta in sé tutto il mistero della salvezza.

E allora, quando si realizza la salvezza? In ogni nostro sì.

Maria ha ricevuto l’annuncio più complicato da tradurre, da comprendere, da concepire ma corre, perché qualcosa in lei è cambiato: con il suo sì la salvezza è entrata in lei. Corre, perché ha saputo che il Signore ha compiuto anche in Elisabetta quanto già aveva compiuto in Sara, che era detta sterile. Nulla è impossibile a Dio. Così il salmo 47, 8: Venite, contemplate le opere dell’Eterno, il quale compie sulla terra cose stupende. E Maria va! va a contemplare le opere dell’Eterno.

Insegnaci, Maria, la fede che ci muove alla salvezza. La vita ci pone di fronte alle difficoltà, al dolore, alla prova, all’errore. Nessuno può dire che il cammino di fede non percorra regioni montuose. E questo cammino rischia di lasciare un segno in noi. Un segno che incrina l’immagine che abbiamo di noi stessi e l’immagine stessa del Dio di Gesù Cristo, che ci ama di un amore totale, pieno.

Quale volto ha il Padre in cui credo? Riesco a vedermi come figlio infinitamente amato? La nostra umana fragilità ci espone a paura, dolore, ferite; e tutto questo, come uno stillare di dubbi acidi sulla roccia, deforma il volto di Dio, deforma il nostro volto e ferisce la nostra relazione con Lui. È così che il Dio di Gesù Cristo sprofonda nel ricordo di un Dio assente, sordo, muto…

Stillate dall’alto, o cieli, la vostra rugiada e dalle nubi scenda a noi il Giusto; si apra la terra e germogli il Salvatore. (Is 45,8) È questa l’antifona, il canto con cui siamo chiamati ad iniziare la celebrazione di quest’ultima tappa prima del Natale. Luca, nella II domenica di questo tempo, ci aveva detto, riportando le parole di Giovanni il Battista: “Ogni valle sarà colmata e ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose saranno fatte dritte e le accidentate saranno appianate; e ogni creatura vedrà la salvezza di Dio” (3,5-7). Se sapremo riconoscere le nostre ferite, la roccia della nostra relazione con il Padre, incisa con durezza dal dubbio e dal dolore, sarà nuovamente colmata e il nostro sguardo vedrà di nuovo il volto autentico del Padre che ci ama di un amore totale nel suo Figlio.

Betlemme di Efrata: troppo piccola per essere fra i villaggi di Giuda?… No. Da te uscirà per me colui che deve essere il dominatore in Israele.

Troppo piccoli noi per conoscere Dio?… No, dalla carne di Maria, dalla carne del mondo, nascerà il Figlio di Dio Questo deve cancellare ogni nostro forse, ogni nostra sbagliata certezza, ogni nostra sfregiata verità. Nonostante la fede viviamo il dolore e la prova, ma nella fede possiamo tornare a lui, convertire il nostro sguardo verso il suo, i nostri passi verso il luogo del nostro primo incontro con lui, il nostro cuore verso un dialogo d’Amore con lui; dialogo di ascolto reciproco, dialogo in cui Dio ascolta la nostra umanità e vi risponde per portaci alla pienezza della vita. Il mistero dell’incarnazione del Verbo di Dio, avvenuta una volta nel grembo di Maria è mistero di una nascita che si ripete in noi, ogni volta che il nostro cuore converge verso il suo.

Mancano pochi giorni al Natale: e il vangelo di questa domenica ci parla attraverso due donne. Maria ed Elisabetta, due donne che ci riconsegnano il grande dono del primo stupore e dell’entusiasmo della fede. Maria ha forse 15 anni, Elisabetta forse 60. Non cambia: stupore ed entusiasmo sono di entrambe, perché non dipendono dall’età, ma dal desiderio di ascolto. Quando il desiderio di ascolto è giovane e puro, l’entusiasmo e lo stupore della fede sono puri. Maria, saputo della gravidanza di sua cugina Elisabetta, si affretta. Da Nazareth a Ain Karem, 150 chilometri, 5 giorni di cammino. Perché quando il Signore ci parla non ci chiede di custodire nel cuore con gelosia la nostra relazione con lui, ma di farla fiorire nella condivisione.

Certo, nel vangelo di Matteo troviamo chiaro l’avvertimento: Non gettate le vostre perle ai porci (7,6)… Per questo Maria va, sceglie con chi condividere l’inebriante peso dell’annuncio ricevuto. Non getta le perle ai porci, ma corre da chi l’aiuterà a farle risplendere. La fede è relazione. Sappiamo alzarci? Metterci in cammino? Farci annunciatori misericordiosi? Cosa ce lo impedisce?

Ci dice Paolo, rivolgendosi ai Filippesi: Cristo Gesù, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio; ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo… Per questo Dio l’ha esaltato e gli ha dato il nome che è al di sopra di ogni altro nome; perché… ogni lingua proclami che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre. (Fil 2,5-11).

Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola (Lc 1,38): così il versetto all’Alleluia.

Insegnaci a correre, Maria! anche verso regioni montuose, dove il cammino potrà farsi faticoso. Insegnaci ad alzarci e partire, Maria! a condividere la gioia della fede. Insegnaci a farci grembo di misericordia, annuncio di salvezza.

Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Shalom! Ecco l’annuncio di salvezza. Pace. Pace piena, prosperità, grazia. Non come la dà il mondo, ma come la dà il Figlio di Dio che porta nel grembo. Lo ripetiamo ad ogni celebrazione eucaristica: “Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi” (Giovanni 14,27). Gli autori biblici sanno bene come sia la pace data dal mondo. In un mondo di violenza, che pace può dare il mondo? una pausa tra una guerra e l’altra? La pace che viene da Dio è altro. Non ha eguali. È verità inafferrabile. È una pace che riguarda il cuore dell’uomo. Il saluto di Maria è una benedizione, così come lo sarà quello di Elisabetta verso di lei.

Insegnaci, Maria, a benedire.

Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! Al Shalom di Maria, Giovanni, dal grembo di sua madre, esulta. È lui a riconoscere nel grembo di Maria la presenza del Figlio di Dio. E lo annuncia a sua madre. E lo Spirito ricolma Elisabetta della sua benedizione, della sua pace.

Insegnaci, Maria, a condividere la benedizione ricevuta, a moltiplicare la pace, a moltiplicare l’amore.

Quante volte per orgoglio, spesso per orgoglio ferito, evitiamo di benedire, di riconoscere nell’altro la presenza dello Spirito? Illuminare l’altro ci mette forse in ombra? Di questo abbiamo paura? Il nostro bisogno di essere visti è vitale. Accogliamolo. L’Amore è come la manna, non può essere accumulato, altrimenti svanisce. L’Amore è dono e si moltiplica donando.

A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me?

Perché, Maria, mi cerchi? Perché vieni da me? Con questa domanda Elisabetta manifesta la sua consapevolezza: il grembo di Maria custodisce il Verbo di Dio. Il Verbo di Dio si è degnato di incarnarsi, per condividere la nostra umanità, per santificarla, per riempirla di gioia, qui, ora, non dopo, non altrove. Non abbiamo alcun diritto di sprecare nemmeno un giorno attendendo un domani diverso, migliore. Nessun diritto di sprecare nemmeno un giorno in attesa che la gloria del cielo prenda il posto della fragilità della nostra carne. Maria viene a noi oggi. Reca in sé la fonte della vita nella gloria. È questo il tempo per cominciare a vivere da salvati.

Maria viene anche a noi per confermarci nella fede. Quello che è avvenuto in Elisabetta è frutto dell’Amore da Dio. C’è un Giovanni nel grembo di ciascuno di noi. E Maria è con noi per sostenerci, per aiutarci nei momenti più difficili. La nostra vita, fecondata dall’amore di Dio, può essere a sua volta feconda per il mondo. È un dono grande, che chiede di non essere sprecato, che chiede di essere custodito, accresciuto e donato.

«E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Maria ci invita a credere. Non a credere nell’impossibile, perché nulla è impossibile a Dio. Non a credere ai miracoli inspiegabili, ma ai segni tangibili presenti nella nostra vita. Non a credere alle suggestioni, ma alla sua Parola. Quello che è avvenuto ad Elisabetta è avvenuto a Sara, Rebecca, Rachele, Anna…

Maria viene a noi per aiutarci ad essere fecondi. Siamo chiamati a moltiplicare l’Amore negli infiniti modi in cui è possibile: tutto quanto piace al Signore è dono di vita, è Amore moltiplicato, ci rende madri (tutti, uomo e donna), ci apre alla benedizione, ci apre alla gloria.

Gesù nascerà tra poco. Facciamo spazio nel nostro grembo per accoglierlo, come Maria, con Maria, la benedetta dal Signore che benedice e ci insegna a benedire. Metti da parte le tue delusioni, distogli lo sguardo dalle cicatrici non rimarginate, metti da parte tutto quello che credi di aver capito. Un germoglio è pronto a nascere in te. Germoglio di vita, di Amore, che cerca il tuo grembo per nascere. Avrà il volto dell’Amore che da soli non sapremmo disegnare. Lasciati, lasciamoci stupire, lasciamo che sia Lui a mostrarsi a noi come veramente è.