Don Paolo Zamengo “Dov’è”

EPIFANIA DEL SIGNORE
Is 60,1-6   Sal 71   Ef 3,2-3.5-6   Mt 2,1-12

La festa dell’Epifania è segnata da sempre nel nostro
immaginario dal racconto dei Magi venuti dall’Oriente, un
racconto che riempie di fascino questa festa. Oggi,
diventati adulti, forse riusciamo a intuire che questa non è
una cronaca ma la rielaborazione di materiali diversi, un
midrash che non è solo storia di magi, ma storia di uomini

e donne di tutti i tempi.
L’Epifania è la festa della luce, di questa luce che brilla sui nostri volti, come un giorno sui Magi:
prima la luce era nel brivido dei loro occhi che bucavano le notti, poi al ritorno, ancora nelle notti,
la luce era dilagata sul loro cammino. Storia di strade e di domande, la loro e la nostra storia.
Lunghi, estenuanti cammini: “da Oriente!” e anche qui non c’è un nome. È l’oriente dell’umanità, è
l’oriente di ogni donna e di ogni uomo.
Perché non basta nascere. È vero, vieni alla luce, ma subito ti chiedi dov’è la luce che non
tramonta, la luce che illumina i nostri cuori. Pensate come tanta storia dell’umanità sia dentro
questa domanda. Dov’è per noi una felicità, la promessa che non tramonta, la via per una terra
dove dimora la pace e la giustizia, dov’è la soglia dei cieli nuovi e della terra nuova, dov’è la fonte
dell’acqua viva, quella che placa la sete del cuore?
E pensate quanto cercare, quanto indagare nei cieli e nei libri, dietro questa domanda: dov’è? E
quante terre attraversate dall’intera umanità, terre che ti hanno fatto sussultare il cuore, quasi
fossimo arrivati. Ma poi la disarmante verità delle parole: “tutte le cose portano scritto: più in là”.
E dunque è un incontenibile andare inquieti dietro un mistero che sempre ti seduce da un’altra
valle. Per fortuna c’è una cometa, che attraversa tutti i cieli. Non l’hanno inventata gli uomini. A
me piace pensare che sia la coscienza, la nostra coscienza. E noi navighiamo dietro questo
chiarore. Non lasciamoci sedurre da altre luci, scintillanti ma vuote, che attraversano oggi i cieli:
sono fuochi fatui, meteore, maschere del nulla.
Nel racconto non fanno bella figura le autorità, né quelle politiche, Erode, né quelle religiose,
sacerdoti e scribi. L’autorità politica ha in sospetto le parole nuove; ha privilegi, consolidati, da
difendere. Le autorità religiose, dicono e non fanno. Da nomadi di Dio sono diventati sedentari
dello spirito. Hanno ucciso il “dov’è?”, dentro il loro cuore. A loro volta i potenti di turno tentano
di uccidere il Bambino, perché è una Parola nuova, sconosciuta. Ma non sanno che, come un
giorno Dio salvò il piccolo Mosè, destinato alla morte, dalle acque del Nilo, così ora Dio salverà
suo Figlio da una morte annunciata.
Strano mistero, sempre strano e sconcertante: perché arrivano i lontani e non i vicini. Forse
perché loro si aspettavano qualcosa di più dal loro Dio, uno spettacolo diverso e non questa
disarmante umanità e questo silenzio. Ancora una volta: un uomo, una donna, un bambino, il
Figlio di Dio, e il silenzio in cui adorare. Troppo poco per muoversi. In loro non abita più la
domanda: dov’è?
Proprio così: “La stella” – è scritto nei vangeli – “si fermò sopra il luogo dove si trovava il
bambino”.