Alessandro Cortesi Commento II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)

II DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Is 62,1-5   Sal 95   1Cor 12,4-11   Gv 2,1-11

“per amore di Gerusalemme non mi concederò riposo, finché non sorga come aurora la sua giustizia e la sua salvezza non risplenda come lampada. (…) sarai chiamata con un nome nuovo, che la bocca del Signore indicherà”.

Lo sguardo del profeta va oltre la situazione di buio e di desolazione del presente. E’ invito a non cedere, a resistere nella prova, a sopportare la fatica della pazienza, nel rimanere fedeli anche nel tempo della prova. Con uno sguardo lungo: finché non sorga come aurora la sua giustizia… Il profeta è sentinella di una aurora racchiusa nella promessa di Dio e che coinvolge la storia. Gerusalemme, la città della pace, città però segnata storicamente dall’odio, dall’incomprensione dalla violenza dalla guerra, è città che reca una promessa da accogliere e costruire.

“Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù”. Cana nel IV vangelo è il primo dei sette segni che disegnano un percorso fino al momento della croce a Gerusalemme, l’ora di Gesù. I ‘segni’ sono indizio e indicazione, rinvio ad altro. A Cana viene meno il vino, simbolo dell’amore. La gioia della festa in un momento particolare come la celebrazione delle nozze rischia di venir meno. E’ in gioco la festa di nozze, di incontro tra due giovani,  ma è in gioco ad un livello più profondo l’incontro di Dio con l’umanità.

C’è una storia di amore che rischia di non avere respiro, come il vino nelle anfore ormai esaurito. In questo senso Cana è segno, è chiave di lettura dell’intero vangelo. Lì si attua una manifestazione: c’è una presenza di Dio da incontrare in modo nuovo, E si fa vicino al di là di ogni attesa e di ogni schema. Gesù con la sua vita reca la novità di un incontro possibile con un volto di Dio che si fa vicino nell’amore, nella gioia, nella quotidianità della case e dell’esperienza d’incontro, attorno alla tavola. Il sogno di Dio è lo svolgersi dell’amore tra gli esseri umani, la gioia dell’incontro.

L’intervento di Maria richiama a questo sguardo alle storie: non hanno più vino. Al centro sta l’attenzione e la cura per le persone nella loro realtà di bisogno e sofferenza. E Maria insiste ‘fate quello che vi dirà’. Questo invito è chiave per comprendere il cuore del vangelo: non una teoria da conoscere ma un incontro da accogliere, una parola da compiere nel lasciarsi coinvolgere. Sei giare piene di acqua sono trasformate in giare contenenti vino tanto buono da suscitare lo stupore di chi dirigeva il banchetto: è questo il segno di Cana, segno del vino che porta gioia e rallegra il banchetto. Il vino delle anfore è segno della presenza di Cristo come sposo che porta una gioia nuova e diversa, la gioia per la venuta del messia atteso nella storia umana. E’ un segno tutto orientato all’ora di Gesù, colui che porta la gioia nuova. “Il mio Gesù è il rabbi che amava i banchetti, che soccorre i poveri di pane e i poveri di vino. Il Dio in cui credo è il Dio di Gesù, quello delle nozze di Cana ; il Dio della festa e del gioioso amore danzante; credo in un Dio felice, che sta dalla parte del vino migliore, del profumo di nardo prezioso, dalla parte della gioia: la felicità di questa vita si pesa sul dare e sul ricevere amore” (Ermes Ronchi)

Un’ultima annotazione a partire dalla seconda lettura: “vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito”. Questa settimana preghiamo per l’unità dei cristiani. E’ una svolta importante  aprirsi al cammino per oltrepassare le divisioni che ci sono state nella storia e camminare insieme verso l’unità. E’ da considerare peraltro che l’unità a cui siamo chiamati non schiaccia le differenze e forse possiamo accogliere questa grande lezione dalla storia: i diversi cammini delle chiese ed anche le divisioni hanno manifestato accenti diversi su aspetti particolari, su differenze. Queste accentuate nel passato e nel presente come ragioni di separazioni e di ostilità, possono divenire, con uno sguardo altro, essere viste come motivi di nuovo cammino, nella ricerca della, fraternità e della pace. Nell’orizzonte della chiamata di Gesù ‘che siano uno’ queste differenze possono essere comprese come doni che ogni comunità reca alle altre ricordando che nessuno è padrone del vangelo e che il volto di Dio da testimoniare oggi è il Dio dell’incontro e della pace. E oggi in modo nuovo siamo chiamati al lasciarci guidare dallo Spirito sorgente dei diversi doni e di accoglienza reciproca.

Alessandro Cortesi op 

Fonte:https://alessandrocortesi2012.wordpress.com/