Don Paolo Zamengo”Un sabato nella sinagoga”

Domenica 26 Gennaio (DOMENICA – Verde)
III DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO o della Parola di Dio (ANNO C)
Ne 8,2-4.5-6.8-10   Sal 18   1Cor 12,12-30   Lc 1,1-4; 4,14-21

Anche in quel sabato Gesù entrò nella sinagoga perché là si
parlava di Dio. Luca ci racconta che Gesù aprì la Scrittura,
lesse due o tre versetti e poi richiuse il rotolo. Una e una
sola volta nei vangeli è scritto che Gesù legge a voce alta le
Scritture e lo fa in mezzo ai suoi fratelli riuniti in preghiera.
Gli abitanti di Nazaret sono gli unici ad aver visto e udito
Gesù leggere le Scritture. Tutti gli occhi sono fissi su di lui. E poi cominciò a parlare con un tocco così
umano che ha calamitato l’attenzione di tutti i suoi fratelli. Aveva scelto un testo conosciutissimo
eppure, quel sabato, sembrava nuovo, quasi trasfigurato. Le parole sembravano distendersi, rivestirsi
di primavera, aprivano alla speranza, risvegliavano la nostalgia della pace, come se fossero state lette
per la prima volta in quella povera sinagoga di paese. Nessuno si ricordava d’avere mai sentito un
Rabbino parlare così. Erano parole profumate di cielo.
A Nazaret risuonano le sue prime parole ufficiali. Oggi la parola di Isaia diventa carne. Gesù non
impone pesi ma li toglie, non porta precetti ma libertà. “Lo Spirito del Signore è sopra di me; per
questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio”.
Scandisce lentamente le sue parole e fissa la sua missione in poche parole: liberare, sanare, guarire,
ridare la vista, predicare l’anno di grazia del Signore. Quei verbi rimbalzano dal rotolo del profeta Isaia
fino a raggiungere la loro vita, il cuore di ogni uomo. Le parole di Isaia riempiono il silenzio della
sinagoga e la pace gorgoglia nel cuore dei presenti. Poi Gesù arrotola il volume, lo consegna, si siede,
non dice più nulla e tutti gli occhi lo fissano. Intravvedono uno sguardo d’amore, un volto di pace, di
accoglienza e di perdono.
Luca ci racconta la scena con calma, per farci comprendere l’estrema importanza di questo momento.
Sono le prime parole sul senso della sua vita. Gesù incarna la Parola di Dio. E’ lui la sua Parola. È lui il
Dio che ha stabilito il suo fine fuori da se stesso. Il suo fine è l’uomo, la sua passione è l’uomo. Anzi, la
passione di Dio è il povero, il cieco, il prigioniero e l’oppresso.
E ricomincia una nuova creazione dalla periferia della terra, da coloro che non ce la fanno. Perché la
storia non generi più poveri, prigionieri, ciechi, oppressi. Solo questo sta a cuore a Gesù che si rivolge a
tutte le povertà, alla fame di pane e a quella del cuore. Che colma la vita non di cose, ma di persone da
amare. Dio sta dalla parte dei poveri non per farli ricchi, ma per renderli finalmente figli e fratelli.
Nella calca di quel sabato mattina, le parole di Gesù avevano acceso i battiti dei cuori affaticati. Poi
giunge quella conclusione inaspettata: “Oggi si è compiuta questa scrittura che voi avete udita con i
vostri orecchi”. Fu un sollievo di luce, un lampo di speranza per affamati e carcerati, falliti e incapaci.
Furono parole che non saranno mai dimenticate da quella povera gente.
Quel mattino in sinagoga ognuno ci arrivò per pregare, come raccomandato da generazione in
generazione. Quel sabato il pensiero triste del presente fu cancellato dalla sorpresa della speranza.
Avevano trovato un Uomo capace di ascoltare le loro miserie e in quella povertà aveva acceso una
luce.
Siamo prossimi alla festa di don Bosco. Don Bosco è stato uno sguardo attivo di ascolto, azione
concreta di proposta di vita piena per i suoi cari giovani: ragione, religione, amorevolezza, casa che
accoglie, parrocchia che evangelizza, scuola che avvia alla vita, cortile per incontrarsi tra amici e vivere
in allegria. Semplice vocabolario salesiano, denso di sapienza evangelica. Volto che sorride. Volto e
sguardo di Gesù, di don Bosco e nostro sguardo. Anche oggi si compie questa Scrittura che abbiamo

ascoltato. Notizia buona e, dunque, vangelo per i giovani e per tutti noi. Gesù è colui che ci sorprende
e ci commuove.