Domenica 23 Febbraio (DOMENICA – Verde)
VII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
1Sam 26,2.7-9.12-13.22-23 Sal 102 1Cor 15,45-49 Lc 6,27-38
Le parole del vangelo non devono correre il rischio di essere
ricacciate nel buio da altre parole più comuni, che non
sopportano e non condividono la dismisura del porgere l’altra
guancia a cui siamo chiamati oggi. Perché se a schiaffo rispondi
con un altro schiaffo, con la proporzionalità dell’occhio per
occhio, dente per dente, che cosa c’è di nuovo nell’aria?
Certo, una risposta allo schiaffo è dovuta, perché all’ingiustizia
bisogna reagire. Ma come? Gesù ha una risposta. La sua non è una resa passiva.
Accadde nella notte del tradimento e della sua cattura, quando il sommo sacerdote
interrogò Gesù e lui gli rispose: “Io ho sempre insegnato nelle sinagoghe e nel
tempio. Domanda, a quelli che mi hanno udito quello che ho detto loro…”. Ma appena
ebbe detto questo, una delle guardie gli dette uno schiaffo, dicendo: “Così rispondi al
sommo sacerdote?” Gesù gli rispose: “Se ho parlato male, dimostra il male che ho
detto; ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”” (Gv 18, 19-23).
Ricordiamo la fermezza di queste parole che sembrano sfiorare un paradosso, e
ognuno di noi conosce la fatica di farle proprie e modellare la sua vita. Perché se è
vero che a uno schiaffo forse non reagiremo con uno schiaffo, tuttavia il nemico ci
rimane impigliato negli occhi e nel cuore. Ci tocca ammettere la nostra lontananza da
Gersù e pregare di essere aiutati e abbassare gli occhi per scoprire che anche noi
siamo bisognosi di perdono: “Siate misericordiosi, come il Padre vostro è
misericordioso”.
E mi vengono in soccorso le parole di San Paolo: “Accoglietevi perciò gli uni gli altri
come anche Cristo accolse voi, per la gloria di Dio”. Accoglienza è parola e un
atteggiamento a cui spesso siamo richiamati. Perché l’accoglienza nasce da un
riconoscimento che è di sempre, o dovrebbe essere di sempre, il riconoscimento
dell’altro, dell’umano e del divino che ci abita, che abita in ogni uomo. Gli altri, che
spesso per la loro diversità, da me e da noi, diventano una categoria: gli altri sono il
nemico.
Sentite la bellezza di queste parole di Dio che raccontano i suoi occhi e dovrebbero
raccontare i nostri: “Non dica lo straniero che ha aderito al Signore: “Certo, mi
escluderà il Signore dal suo popolo!”. Non dica : “Ecco, io sono un albero secco!”.
Dunque se uno si sente senza terra, fategli sentire che ha una terra; e se uno si sente
senza futuro, fategli vedere che ha un futuro. Date a tutti il nome di figli, come fa Dio
(Is 56, 1-3.6-8)
Il comando di Dio è che si pratichi il diritto e la giustizia e si osservi il sabato.
Osservare il sabato quando era proibito fare lavori, ma una cosa si era liberi di fare, si
è sempre liberi di fare, e Gesù la rivendicava: fare il bene. E lo faceva, anche di sabato.
Fare il bene sempre.
Non so se colpisce anche voi l’insistenza di Gesù sul fare il bene. Fate cose buone, fate
cose belle. Chiedetevi se fate il bene, se fate cose buone, se fate cose belle.
C’è nelle parole di Gesù una concretezza che ci mette in guardia dalle dichiarazioni un
po’ enfatiche. Gesù preferisce dire bontà. La bontà è fatta di piccole cose. Bontà è
disarmare a poco a poco il proprio cuore, il proprio sguardo, il proprio linguaggio.
Bontà è sospendere il giudizio, è pregare per chi ci è ostile, è sperare e attendere.
Bontà è accettare anche di non essere capiti.
La bontà fa cose buone, fa cose belle. Anche se ci sentiamo lontani dagli esempi di
Gesù, ci rimane negli occhi, nel cuore e nel desiderio la dismisura di Dio.
