Domenica 2 Marzo (DOMENICA – Verde)
VIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO (ANNO C)
Sir 27,5-8 Sal 91 1Cor 15,54-58 Lc 6,39-45
Disse loro anche una parabola: Può forse un cieco guidare un altro cieco? Non cadranno tutt’e due
in un fosso? Un discepolo non è più del maestro; ma ognuno, che sia ben preparato, sarà come il
suo maestro. Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio del tuo fratello, e non ti accorgi della
trave che è nel tuo occhio? Come puoi dire al tuo fratello: “Fratello, lascia che tolga la pagliuzza
che è nel tuo occhio”, mentre tu stesso non vedi la trave che è nel tuo occhio? Ipocrita! Togli prima
la trave dal tuo occhio e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall’occhio del tuo fratello.
Non vi è albero buono che produca un frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca
un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto: non si raccolgono fichi dagli spini,
né si vendemmia uva da un rovo. L’uomo buono dal buon tesoro del suo cuore trae fuori il bene;
l’uomo cattivo dal suo cattivo tesoro trae fuori il male: la sua bocca infatti esprime ciò che dal
buon cuore sovrabbonda.”
(Lc 6, 39-45)
Luca raggruppa in questa pagina una serie di insegnamenti sapienziali il cui fulcro può essere
individuato così: pensare a se stessi. Potrebbe apparire un messaggio egoistico o anti-evangelico; al
contrario, questo invito ci può condurre alla riscoperta di una dimensione del messaggio di Gesù
che nel tempo ha subito gravi smagliature. Abbiamo identificato il senso del Vangelo con il pensare
agli altri, con il servirli, con il perdersi per loro, ma raramente ci siamo interrogati se dietro a questa
nostra dedizione non si nasconda il desiderio di conquistarli alle nostre idee, o non covi la tendenza
di catturarli e di convertirli. Se davvero questo atteggiamento ci animasse, anche
inconsapevolmente, avremmo allora perso il rispetto per l’altro, e non ci sarebbe più vero amore.
Gesù non era preoccupato se gli altri vivessero in modo retto e rispondessero al disegno di Dio, ma
piuttosto se lui lo viveva. Desiderava conoscere i propri doni, svilupparli, voleva aderire
responsabilmente e creativamente alla volontà del Padre. Il suo primo assillo quindi era di
convertire se stesso, di cogliere il progetto del Padre sulla sua vita e di viverlo. Vivendo così
diventava “luce, sale” per gli altri.
L’intero contesto evangelico lascia trasparire un Gesù che non adopera sistemi particolarmente
persuasivi per procacciarsi adepti: anzi, quando opera dei miracoli, Gesù invita alla riservatezza.
Non operava i miracoli per dimostrare la sua divinità e per invogliare quindi la gente, con una
manifestazione di potenza, ad aderire alla sua persona e al suo messaggio, ma unicamente per
amore dell’uomo. Di fronte alla sofferenza, all’esclusione, all’emarginazione, Gesù non si trattiene;
non accetta che l’individuo patisca o venga privato della sua dignità. I miracoli diventano allora un
segnale, rivolto prima di tutto ai discepoli, perché quest’opera di liberazione continui. Quasi a dire
che il discepolo non è tanto chiamato a convertire, quanto a liberare l’uomo da ogni schiavitù, da
ogni “diminuzione” di umanità.
Lavorando per questa liberazione, egli potrà annunciare il pensiero di Dio sull’uomo. I gesti
miracolosi non sono per fare proseliti, ma per aiutare l’individuo a riscoprire il senso della vita, la
dimensione nascosta della storia dell’umanità.
Gesù ha eliminato ogni sistema persuasivo? Egli non vuole forzare coscienze e persone. Egli offre
una testimonianza, propone uno stile di vita, presenta una sua interpretazione di Dio e della storia,
ma non vuole far niente di eclatante per convincere l’interlocutore ad accettare tutto ciò. Aspetta
che sia egli ad accorgersi, a interrogarsi e poi, eventualmente, ad aderire alla proposta. Che interessa
avere fedeli tiepidi e poco convinti? Che importa avere dietro a sé una gran massa di gente, se
manca di coscienza?
La nostra Chiesa, scrive il teologo Rahner, è come una moltitudine di non credenti. I sistemi
persuasivi che abbiamo continuamente inventato per radunare i bambini, i giovani, e spingerli così
all’adesione alla fede, nascondevano indubbiamente un intento sottilmente catturante. Oggi ci si
accorge che questi metodi hanno sì aggregato attorno alla Chiesa le persone, ma le loro coscienze
non si sono convertite. Addirittura una certa riluttanza, un certo rifiuto verso la Chiesa, sono dovuti
all’invadenza della Chiesa stessa. A questo proposito, Bonhoeffer osservava giustamente: “Certo
altruismo è pretenzioso e possessivo, certo egoismo è più rispettoso e altruista”.
Cosa vuol dire, dunque, “pensare a sé”? Il Vangelo di oggi ce lo indica. L’uomo non può essere un
cieco in balia di altri, è chiamato a dirigersi, a governarsi con la propria ragione. Prima di pensare a
illuminare deve illuminarsi, deve giudicarsi, prima di giudicare gli altri, deve imparare a guardare se
stesso, i propri difetti e limiti.
Piuttosto che denunciare gli errori degli altri, impari a vedere i propri. È importante accorgersi della
trave che è nel nostro occhio prima di guardare la pagliuzza che è nell’occhio del fratello.
È essenziale “vivere” noi la fede, più che domandarci se gli altri la vivano o seguano il Vangelo.
Impariamo noi a crescere come alberi buoni, perché se l’albero è buono dà frutti buoni. Alleniamoci
noi ad avere un cuore giusto, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore. Forse anche in campo
pastorale dobbiamo correggere la rotta: come preti e laici siamo chiamati a pensare un po’ più a noi
stessi e un po’ meno agli altri. Questa non è chiusura, non è disimpegno. Quando un prete, un
credente, coltiva la propria fede e ha un cuore appassionato, può coinvolgere e riscaldare a sua volta
altri cuori. Senza sottili e ambigui mezzi persuasivi.
Due piccoli impegni:
- Scoprire che il primo assillo di Gesù era convertire se stesso.
- Quando un credente coltiva la propria fede, può riscaldare altri cuori.
