Domenica 16 Marzo (DOMENICA – Viola)
II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Gen 15,5-12.17-18 Sal 26 Fil 3,17- 4,1 Lc 9,28-36
Dopo l’esperienza del deserto, luogo per definizione inospitale, duro, dove l’uomo si trova solo con sé stesso e sperimenta tutta la sua fragilità e debolezza, in questa seconda domenica di quaresima abbiamo un’altra collocazione geografica, ma stavolta si parla di un luogo in qualche modo opposto, cioè un monte. Una realtà che per definizione avvicina a Dio, pensiamo solo a quante volte nel Primo Testamento le manifestazioni del divino, cosiddette teofanie, si sono verificate su di una montagna, luogo dove è più facile entrare in dialogo con l’assoluto. Gesù sale su questo monte, che tutta la tradizione identifica con il Tabor, con alcuni dei suoi Discepoli, quelli che diventeranno le colonne della prima Chiesa, Pietro, Giacomo e Giovanni per un motivo preciso: pregare.
Siamo ad uno snodo cruciale del cammino del Signore verso Gerusalemme; egli appena annunciato ai suoi discepoli la passione: il Figlio dell’uomo deve soffrire molto, essere rifiutato, venire ucciso. E i dubbi sono legittimi, è tutto così difficile da capire e da vivere. E allora anche lui si ferma, vuole vederci chiaro, ed è davanti al Padre che va per cogliere il senso profondo di ciò che sta per accadere.
Quando siamo di fronte a situazioni difficili, a momenti nei quali sembra che si stia perdendo il senso del nostro camminare il Signore ci dice che dobbiamo avere il coraggio di fermarci, riprendere fiato, non pensare che tanto le cose si possano poi sistemare da sole, ma nella verità cercare un dialogo sincero con lui e ripensare, alla luce della sua Parola, tutta la nostra vita come ci esorta anche papa Francesco in EV 46. Nel contatto con il Padre anche la nostra realtà si illumina, ciò che è nascosto appare in tutta la sua chiarezza ed evidenza, come il volto di Gesù: mentre pregava il suo volto cambiò di aspetto, si trasformò. Pregare trasforma; discepoli però non sono ancora in grado di vivere una esperienza così sconvolgente, sono ancora forse stanchi per la salita e il testo dice, che vinti dal sonno, si addormentano come si addormenteranno nell’orto degli ulivi all’inizio della Passione, nel momento in cui il loro maestro, per il quale hanno lasciato tutto, sta per essere arrestato e condannato.
E’ significativo che questo episodio della trasfigurazione, in cui si manifesta tutta la bellezza, la grandezza, la luce straordinaria del Figlio di Dio, dove si vive un anticipo della resurrezione sia posto dalla liturgia proprio quasi all’inizio della Quaresima. È bellissimo il fatto che la Chiesa, dopo averci invitato alla conversione, all’essenzialità, all’austerità con il segno delle ceneri ci indichi il Tabor, il luogo in cui i discepoli, per la prima volta, vedono oltre l’apparenza, scoprono la bellezza di Dio manifestata nella gloria del figlio. Il cammino penitenziale della quaresima ha un senso solo se vissuto in questa ottica, perchè come dice il profeta, il Padre non ha bisogno dei nostri sacrifici senza numero, degli olocausti e dei noviluni, ma desidera che noi facciamo una esperienza vera del suo amore, della sua straordinaria bellezza, del bianco sfolgorante del suo aspetto.
Siamo qualche volta riusciti a salire sul Tabor nella nostra esperienza di fede?
La gioia dell’amore sponsale, il dono di una vita nuova, un momento di preghiera intenso, una celebrazione che ci ha coinvolto, il contatto con la natura sono attimi, scintille, che ci possono svelare la grandezza del nostro essere ad immagine di Dio che ci ha voluti così come siamo.
Queste esperienze sono talmente grandi, straordinarie, difficili da interpretare per delle creature limitate come noi che a volte possono generare paura e desiderio di chiuderci in noi stessi, quello che accade anche a Pietro e che lo spinge ad affermare “E’ bello per noi restare qui….fermiamo il tempo, in fondo stiamo bene qui, cosa ci manca? C’è il dono della legge, rappresentata da Mosè, dei Profeti e c’è il Maestro la cui predicazione ci ha affascinati….Il rischio e la tentazione di fare delle tende è sempre presente, anche in ognuno di noi, ed è quella che ci impedisce di scendere dal monte od uscire dal chiuso delle nostre comunità e trasmettere a tutti la grande gioia di avere, seppure per un attimo, fatto esperienza del Cristo risorto e fare sapere a tutti che siamo , come dice un saggio prete della nostra pieve, contenti di essere cristiani.
Fonte:https://www.pievescandiano.it/
