Domenica 16 Marzo (DOMENICA – Viola)
II DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Gen 15,5-12.17-18 Sal 26 Fil 3,17- 4,1 Lc 9,28-36
“Prese con sè Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li
condusse in disparte su un alto monte”. Gesù amava il lago ma
anche e non di meno amava i monti. Anch’io li amo. Il monte era
il suo luogo a volte cercato per il desiderio di silenzio, di solitudine
serena, di preghiera e di intimità.
Nel vangelo di Luca si dice che anche quel giorno Gesù era salito
sul monte per pregare. E mentre altre volte lo vediamo cercare il
monte per stare da solo, in un faccia a faccia solo con il Padre, senza altre presenze, questa volta
porta con sé tre dei suoi discepoli. Quel giorno il monte sarebbe stato il luogo della preghiera ma
anche di qualcosa di nuovo.
E perché Gesù, tra i discepoli, fa la scelta di Pietro, Giacomo e Giovanni? Ed è intrigante che il
brano della Trasfigurazione sia nel vangelo di Matteo sia in quello di Marco, inizi con una specie di
data come a voler mettere un punto fisso per la memoria. Il brano inizia con questa indicazione:
“sei giorni dopo”.
Come se agli evangelisti fosse rimasto il ricordo di quello che era successo sei giorni prima e
volessero creare un collegamento tra i due eventi. Creare collegamenti appartiene all’arte di chi sa
leggere sapientemente la storia e la vita che scorre. È come dare un senso a ciò che all’apparenza
sembra scollegato. Un mucchio di pietre non sono una casa dove invece ogni pietra si lega a
un’altra e rende la casa solida e forte.
Se gli evangelisti ritornano a quello che era avvenuto sei giorni prima, è come per dirci che
quell’avvenimento era avvenuto ancora e non l’avevano cancellato dal cuore. Non erano certo
bastati sei giorni per dimenticarlo. Sei giorni erano passati ma sentivano ancora di essere immersi
e catturati da quel ricordo.
Il fatto era avvenuto per strada: andavano verso il villaggio di Cesarea di Filippo, e lungo il
cammino e per la prima volta, Gesù aveva posto una domanda per loro, una di quelle domande
che rovesciano anche il nostro cuore e non puoi girarci intorno o nasconderti. Aveva detto: “Voi
chi dite che io sia?”. E dietro la confessione un po’ solenne di Pietro: “Tu sei il Cristo”, Gesù
incominciò a fare piazza pulita di tante immagini grandiose del Messia. A rivelare ciò che gli
apostoli mai si sarebbero immaginati. E infatti li gelò.
“Il Figlio dell’uomo dovrà patire, essere riprovato dalle autorità religiose, e ucciso. Disse proprio
così, ucciso. E non semplicemente che doveva morire. È normale che uno muoia, no, disse ucciso!
E dopo tre giorni risorgere. C’era da rimanere spaventati e anche noi siamo senza parole. E poi era
andato avanti, aggiungendo che quella, e non altra, sarebbe stata anche la loro strada, quella di
chi voleva essere suo discepolo.
Stare con lui non era per garantirsi la vita ma per perdersi, per darsi per gli altri. Per reggere a
quella rivelazione ci voleva un bagno di luce. Che intuissero quale era il futuro più futuro, ora che
era stato loro raccontato il suo futuro prossimo, quello della croce. Che intuissero quale luce
abitava il cuore del loro Maestro. Lo abitava la luce infinita di Dio, un lago immenso di luce: “Il suo
volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce”.
Ebbene scopriamo che, chiamati a condividere quel lago di luce, sono proprio i tre, Pietro,
Giacomo, Giovanni, che sarebbero sati chiamati anche alla fine per condividere l’abisso del buio
nell’orto del Getsemani, quando avrebbero visto il volto e l’anima di Gesù, il loro maestro, invaso
da tristezza e angoscia di morte.
Trasfigurato Gesù sul monte ma in un certo senso trasfigurati anche i tre discepoli e uno di loro,
Pietro, a pretendere di preservare quella presenza luminosa, quel mistero debordante di luce,
piantando una tenda. Ma non è possibile. Dura poco quel bagliore. Così nella vita, così per tutti
noi.
Comunque è importante quello squarcio di luce a sostenere il loro cammino. Il cammino dei nostri
giorni bui che non sono pochi.
E, quando Pietro scrive una lettera a sostegno dell’impegno dei credenti sembra non avere una
conferma più luminosa di questa. Pietro è il testimone oculare sul monte, lui ha udito la voce, lui
ricorda la trasfigurazione sul monte e la voce che dice: “Ascoltatelo”.
Nel tempo della sparizione, nel tempo della nube, il nostro tempo, tempo dell’assenza visibile del
Signore, questo è il verbo che ci viene consegnato: “Ascoltatelo”. Non rincorrete visioni o
apparizioni. Ascoltatelo. La luce che ci illumina è questa, la luce dell’amore che ci abita è questa:
ascoltarlo.
Ma la visione dura un momento, poi si torna a non vedere. La normalità è non vedere. Vorremmo
fissare quel momento, fermarlo per sempre, magari morire di quella luce pur di non perderla. A
noi cercatori di Dio è stato dato, talvolta, il dono di intravedere una luce ed essere tentati, come i
discepoli del vangelo di oggi, di voler restare sempre sul monte, di dimenticare la pianura, la vita
senza luce dei giorni comuni, della gente comune. Vorremmo essere avvolti e travolti dalla nube
luminosa e udire sempre quella voce. Anche a costo di cadere faccia a terra e tremare per questa
grande rivelazione.
Prendici con te, Signore, quando la strada del “perdere la vita”, del donarci, diventa faticosa,
faticosa e perdente. Prendici con te. Portaci, sia pure per poco, sul monte. Ma soprattutto rendici
obbedienti alla voce che invita ad ascoltarti. Poi tocca a noi scendere a valle e camminare.
Camminare dietro le tue parole. Come dietro a una traccia. E saranno tracce di luce, della luce del
monte.
