Don Paolo Zamengo”Crollano le nostre torri”

Domenica 23 Marzo (DOMENICA – Viola)
III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Es 3,1-8.13-15   Sal 102   1Cor 10,1-6.10-12   Lc 13,1-9

“Voglio avvicinarmi: perché il roveto non brucia?” Così dice
Mosè. Una interpretazione rabbinica rivela che il roveto è il
popolo di Israele, un popolo tra le spine, un popolo nella
sofferenza. E la fiamma che arde è Dio. Dio è vicino al suo
popolo che soffre.
Infatti questo è il senso del nome che Dio svela? Mosè dice:
“Ecco io arrivo dagli israeliti e dico loro: il Dio dei nostri padri
mi ha mandato a voi. Ma essi mi diranno: come si chiama? E io che cosa risponderò? Dirai agli israeliti: “Io
sono mi ha mandato a voi.”
Il nome di Dio è “Io sono”. Io ci sono, sono nella vostra storia, sono sulla vostra strada, così come sono
stato nella storia dei vostri padri. Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Io non mi
ritiro. Io ci sono. Ci sto. Sono il fuoco nelle vostre spine.
E noi nella Quaresima come Mosè ci avviciniamo al roveto che arde non più sul monte Oreb ma là dove
nella città di Dio la strada sale verso il calvario. Noi saliamo verso la Pasqua per vedere il roveto che arde,
per vedere fino a che punto è arrivato l’esserci di Dio. Dio ci sarà fino al punto di soffrire e di morire per
noi.
Mosè osserva e si interroga, si mette in cammino per scoprire e capire il senso di tutto. Non registra
soltanto i fatti ma cerca di interpretarli. La curiosità dello spirito interroga Dio e interroga noi stessi, gli
altri, la storia. Questa è la condizione decisiva per uscire dalla falsa pace della coscienza. “Voglio
avvicinarmi a vedere”. Il primo passo è mettersi in cammino, smettere di essere sedentari dello spirito.
In questa prospettiva potremmo forse anche leggere l’avvertimento di Gesù che nel vangelo di Luca,
risuona come duro monito. Avvengono, sembra dirci Gesù, fatti che potrebbero risvegliare le coscienze e
chiamarle a conversione, e noi riduciamo questi fatti a semplice cronaca, tema per i salotti del nulla. Con la
pessima abitudine di addossare agli uni o agli altri la colpa, senza minimamente mettere in discussione se
stessi.
Cade la torre di Sion, muoiono diciotto persone e noi cosa pensiamo? Che quei diciotto erano certamente
colpevoli più di tutti gli altri abitanti di Gerusalemme. Se crediamo questo vuol dire che siamo sordi, ciechi
e addormentati e non accogliamo il messaggio che ci parla, a volte grida, attraverso i fatti della storia che
sono una chiamata urgente una provocazione per la nostra conversione.
Forse noi oggi, ricordiamo il crollo delle due torri di un 11 settembre ormai lontano, dopo il quale, così si
diceva, che nulla sarebbe stato più come prima. Ma quelle torri ora sono diventate solo l’occasione per la
cronaca o per i dibattiti nei salotti ma abbiamo dimenticato in fretta l’appello urgente alla conversione. “Se
non vi convertirete”, dice Gesù, perirete tutti allo stesso modo”.
E non perché Dio vuole sangue, non perché Dio fa crollare le torri, ma perché la vita e la storia fondate
come casa sulla sabbia, non hanno altro esito se non quello di un crollo pauroso. “La sua rovina, è scritto, la
rovina della casa fu grande” (Mt 7, 27). Non perché Dio vuole il nostro male ma perché dentro una vita
che addormenta la coscienza noi non sappiamo più interrogare né Dio, né noi stessi, né i segni dei tempi.
Per quanto riguarda Dio, a smuoverci dalla durezza del cuore, c’è la sua impenitente pazienza,
l’impenitente pazienza del padrone della parabola. Noi passiamo il tempo a sfruttare la terra, e quanta!,
senza dare frutti. Ma ancora una volta all’impazienza dei vignaioli ecco la risposta di colui che ha promesso
di “esserci”, di essere sempre presente con la sua intramontabile fiducia. Nonostante tutto, dice: “lascialo
ancora quest’anno”.

E tu, o Dio, zappi intorno e metti concime in questa nuova quaresima. E attendi che io, che noi, che questa
terra e questa chiesa portiamo finalmente frutto.