Domenica 23 Marzo (DOMENICA – Viola)
III DOMENICA DI QUARESIMA (ANNO C)
Es 3,1-8.13-15 Sal 102 1Cor 10,1-6.10-12 Lc 13,1-9
«Non avvicinarti oltre! Togliti i sandali dai piedi…”. L’esperienza di Mosè è segnata da un incontro. E’ incontro con Dio che ha ascoltato il grido di sofferenza del suo popolo. «Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto”. All’inizio del cammino della fede sta l’incontro con un Dio vicino che ascolta e apre percorsi di liberazione, verso una terra di libertà bella e spaziosa. E’ incontro che apre a scoprire un nome da custodire come nome sempre da inseguire e da scorgere negli eventi, in una storia di chiamate: il Dio di…, Dio dei volti e delle storie… un Dio che ascolta… un Dio che agisce per liberare… «Dirai agli Israeliti: “Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe mi ha mandato a voi”. Questo è il mio nome per sempre; questo è il titolo con cui saremo ricordati di generazione in generazione».
Nelle parole di Gesù riportate nel vangelo di Luca Gesù si fa riferimento a due episodi della cronaca che potevano avere impressionato i contemporanei: la repressione attuate da milizie romane che intervennero con violenza all’interno del tempio uccidendo molte persone. Il secondo evento è un crollo improvviso della torre di Siloe, una torre di difesa, che aveva provocato diciotto vittime. Sono le esperienze del maschio della violenza della domanda che rimane sospesa di fronte a innocenti vittime vittime rimaste. Gesù non si schiera dalla parte di coloro che turbati da questi eventi li leggono quali segni di un giudizio di Dio. Si sottrae a letture fondamentaliste e soprattutto ad un modo di pensare il nome di Dio come nome di paura e di oppressione, secondo gli schemi di un Dio grande burattinaio che decide la disgrazia per gli uni e il benessere per altri, e sottostà alla logica del miracolo. C’era infatti chi affermava che quei giudei morti nel tempio erano peccatori e Dio per questo li aveva puniti. E’ il modo che intende la presenza di Dio proiettando su di lui il desiderio di potere e sottostando ad un regime di paura.
«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?» è la domanda provocazione di Gesù. Smaschera una mentalità che intende il rapporto con Dio in modo radicalmente lontano dal suo annuncio e dalla sua testimonianza. E richiama a cambiare mentalità, modo di pensare: “se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”. Nella lingua greca di Luca il verbo convertirsi esprime l’atto di ‘cambiare mente’ ossia il modo di pensare la vita, di vedere le cose. Chi ha trovato la morte in quei tragici eventi, dice Gesù, non è più peccatore degli altri così come chi vive l’esperienza del male della malattia non è per qualche colpa o per essere punito. Gesù evoca situazioni quotidiane che lasciano smarriti non per offrire facili risposte ma per richiamare all’urgenza di pensare in modo diverso la relazione con Dio stesso e la responsabilità di agire nella vita. E’ provocazione ad uscire da un condizione di minorità, di miracolismo e di paura per aprirsi ad una relazione adulta che non risolve i problemi ma apre a cammini di ascolto e presa in carico del proprio cammino. Gesù richiama a vivere la consapevolezza esistenziale che il tempo è spazio prezioso per incontrare Dio e per far sì che il regno di fraternità cresca. E’ questo, il tempo, un tema questo caro a Luca: nell’oggi, tempo della visita di Dio siamo sollecitati a stare in ascolto, svegli, nelle fatiche del presente. La parabola che segue indica il fico che non porta frutto. Nella Bibbia il fico è immagine con tratti collettivi ad indicare una realtà di popolo intero (Os 9,10; Mi 7,1; Ger 8,13). Il contadino chiede al padrone di attendere anche se non ci sono frutti, di non abbatterlo e di lasciarlo ancora ‘Vedremo se porterà frutti per l’avvenire”. E’ una parola per la comunità e dice la speranza e l’attesa di Dio per tutti, nonostante i ritardi, le fatiche, l’assenza di frutti.
Accanto alla parola esigente sulla conversione è posta un’altra parola, richiamo alla pazienza di Dio, alla sua capacità di attesa, oltre ogni limite. E’ Dio che lascia il tempo. La chiamata fondamentale della vita è quella a cambiare modo di pensare, ad orientarsi ad un incontro con Dio che conduce a vivere nel suo stile, secondo il suo nome: un Dio che ascolta il grido dell’oppresso e scende a liberare.
Alessandro Cortesi su
